Una storia di carità

Introduzione
La presenza delle Figlie della Carità in Sardegna: un bilancio di 150 anni al servizio dei poveri

Una storia è il racconto di un’avventura umana. Non una raccolta di notizie, né una semplice cronaca di fatti, ma un addentrarsi in essi e cogliere il filo che li tiene uniti, e capire il senso che quei fatti delineano. La storia qui narrata è quella delle Figlie della Carità che, sorte dal genio di san Vincenzo e santa Luisa nel 1633, giunsero nel 1856 in Sardegna. Qui la loro storia è andata svolgendosi per ben 150 anni, e continua. Una storia segnata da un’unica e medesima figura, quella della carità fattiva e misericordiosa verso i poveri d’ogni specie. Il fatto interessante è che esse non si sono presentate come singole persone, spinte da una lodevole buona volontà di fare del bene agli altri, ma come un corpo ben organizzato, come una “compagnia”, per usare il loro linguaggio. Pur diversamente dotate per intelligenza o qualità pratiche, queste donne si sentivano “una cosa sola”, legate le une alle altre non da comunanza di carattere o di nascita, ma da una vocazione comune. Se hanno lasciato le loro famiglie naturali, lo hanno fatto per rispondere ad una misteriosa chiamata che le portava a dare se stesse a quel Gesù, che nella fede avevano scoperto vivente nei poveri, nei sofferenti, nei derelitti della società. Là dove la società, giustamente, vedeva un bisogno da soccorrere, esse con sguardo penetrante vedevano il volto misterioso di Cristo da servire. Ad avere questo sguardo l’aveva loro insegnato il fondatore, san Vincenzo, nel momento in cui insieme con santa Luisa se le era, per così dire, trovate tra le mani (i fondatori hanno sempre attribuito l’origine delle Figlie della Carità al disegno di Dio!). I fondatori le hanno dunque educate alla carità semplice ed umile per essere strumenti adatti nel servizio dei poveri. E così, con questo sguardo che scruta la profondità delle persone deboli della società, potevano rispondere di volta in volta agli innumerevoli bisogni che lungo questi 150 anni hanno incontrato sulla loro strada. Vi rispondevano perché “vedevano” in quei poveri il loro Signore, che le chiamava a vivere l’amore meno equivoco che ci sia, quello della gratuità verso chi non ha da restituire quello che riceve.

La scienza storica, attraverso i suoi metodi, si trova maggiormente a suo agio nell’esaminare 1a “quantità” della realtà. E certamente questa è come la base della nostra ricerca, il suo punto di partenza. Ma questo non esaurisce il nostro punto di vista, che è piuttosto quello di cogliere i passaggi significativi dell’attività delle Figlie della Carità. Di essa si potrebbero riempire pagine con statistiche e numeri: basterebbe avere la pazienza ed il tempo per frugare ancor più di quanto non si sia fatto negli archivi. Ma questo non renderebbe ragione di quel particolare punto di vista che è l’amore di carità che queste donne hanno sparso a piene mani verso i marginali di una società civile che, dall’unità d’Italia in qua, si è costruita in Sardegna pagando prezzi altissimi per la sua condizione di insularità. Alla fine dell’800, la durata media della vita della popolazione sarda era inferiore a quella degli altri italiani, 40 anni contro i 43,3. A questo scarto concorreva una pluralità di fattori, primi fra tutti la malaria e la mortalità infantile. Soprattutto i bambini soffrivano le condizioni negative dell’ambiente: cattive condizioni abitative, pessima qualità dell’acqua, nutrizione inadeguata, vuoto d’assistenza sanitaria, mancanza di igiene e di cure, responsabili tra l’altro della forte incidenza delle malattie gastroenteriche nell’infanzia (tifo, dissenteria, gastroenterite). Tolte alcune aree, come Cagliari e Sassari, che potremmo chiamare felici solo in riferimento alla restante parte dell’isola, generalmente uomini e bestie vivevano a stretto contatto. Le statistiche mostrano che l’usanza di tenere in casa conigli, animali randagi, pecore ed altri tipi di animali, metteva la Sardegna in prima fila ad ogni sorgere di epidemie. Non a caso il calo consistente della mortalità e la corrispettiva crescita della popolazione si verificò assai in ritardo rispetto alle altre regioni d’Italia. Nella prima metà del Novecento su 300 centri abitati, le fognature non ne servivano più di un terzo. E in meno della metà si trovava un ambulatorio medico, ambulatorio si fa per dire, visto che solitamente si trattava di stanze nude e umide sprovviste di servizi igienici e impianto idrico. In breve, ancora cinquant’anni fa la Sardegna era abitata da poveri, veramente poveri, e non stupisce che la sanità fosse sovente un optional, visto che la storia degli ospedali in Sardegna è sempre stata un poco tormentata, tortuosa ed eccessivamente burocratica. Le Figlie della Carità si sono immerse come serve dei poveri in un contesto in cui “il quadro sociale, sconvolto dalla fine dell’Ancien Régime, protrattosi in Sardegna fino alla metà dell’Ottocento (si pensi ai servizi offerti precedentemente alla popolazione dai disciolti ordini religiosi e dal numeroso clero secolare), non poteva rapidamente ricostituirsi. Agli strati più poveri pareva che, oltre alla minestra francescana, fosse stata tolta la fede e inculcato l’odio per il clero e la religione”. Esse sono state la cinghia di trasmissione che, là dove era ancora possibile, prendeva dai bordi di questa società i derelitti e, educandoli o curandoli, li restituiva al polo produttivo o comunque relazionale di quel mondo che è una città, un paese o un quartiere. La storia di suor Nicoli e suor Tambelli, da questo punto di vista, è esemplare. Eppure di questa storia vi è un silenzio storiografico pressoché totale.

Un’ultima osservazione deve ancora essere fatta. Se il nostro racconto tenta di fotografare gli eventi esterni di questa storia, e tra l’altro per sommi capi, risulta in ogni caso inadeguato nel render conto del profilo invisibile della carità. Occorrerebbe averlo potuto esperimentare. Allora dai brevi racconti contenuti in questo libro, o da qualche suo accenno, riaffiorerebbe la memoria di quell’esperienza; e immediatamente i racconti o i numeri diventerebbero cifre interessanti di quel silenzioso atteggiamento di amore umile che sono l’anima della loro anima. Delle Figlie della Carità di san Vincenzo vogliamo comunque qui raccontare le opere e le attività. Lo facciamo a più mani, in quattro parti. Nella prima vi è uno scorcio della storia generale delle Figlie della Carità in Sardegna. Nella seconda, abbiamo tentato descrivere la loro “storia nascosta”, soprattutto in ordine all’educazione della gioventù sarda. Nella terza abbiamo raccolto tutte le fondazioni realizzate dalle Figlie della Carità in Sardegna, cercando di dare qualche ragguaglio sulla storia di ognuna, là dove è stato possibile ricavare notizie dagli archivi storici della Casa Provinciale di Cagliari. Nella quarta si sono volute ricordare alcune figure significative di queste suore che maggiormente hanno influito su quest’avventura di carità e di promozione umana che è certamente stata un influente fattore di elevazione sociale e cristiana della Sardegna e che merita di essere ricordata in occasione dei centocinquant’anni della loro venuta.

Autore: Ennino Antonello