Suor Maria Grazia Aini

Suor Maria Grazia Aini nacque a Berchidda, in provincia di Sassari, da Antonio e Teresa Piga. Dopo il breve postulato presso il ricovero di Sassari, il 17 luglio 1931 entrò in comunità a 22 anni. Alla presa d’abito fu mandata all’Istituto dei Ciechi a Cagliari e vi rimase finché non fu destinata, in un rapido susseguirsi di cambiamenti, prima all’ospedale di Nuoro (1937), ai Cronici di Sassari (1938), al Carlo Felice di Cagliari (1939), dove rimarrà fino al 1949. Da qui partì ancora per un altro rapido giro di trasferimenti: ad Alessandria (1949), all’Alfieri Carrù di Torino (marzo 1951), all’orfanotrofio maschile di Savona-Santuario come suor servente (agosto 1951), all’Istituto dei Ciechi a Genova come suor servente (maggio 1952), all’asilo Umberto I e Margherita di Cagliari come suor servente (dicembre 1953). Nell’ottobre del 1957 venne nominata vice-visitatrice, e nel 1959 visitatrice, della provincia di Sardegna fino all’ottobre 1970. Poi fu inviata di nuovo come suor servente all’asilo Umberto I e Margherita, infine al Conservatorio di Cagliari, come suor servente prima, e poi come suora compagna. È morta il 23 marzo 1988.

Suor Maria Grazia Aini diresse i primi passi della provincia di Sardegna. Prima di svolgere questo compito affrontò una lunga serie di sacrifici e di difficoltà. Basta esaminare l’iter dei suoi cambiamenti, non voluti da lei, ma sempre sottomessi all’obbedienza, per rendersi conto della sua grande disponibilità. Il suo nome resta legato a due opere particolari. La prima fu la coraggiosa attività da lei intrapresa per la realizzazione della casa provinciale. In questa operazione dimostrò di quale tempra fosse dotata: intuitiva, volitiva, d’intelligenza eminentemente pratica, soprattutto sorretta da una fede granitica, la sola capace di farle superare, nonostante le difficoltà, apparentemente insormontabili, tutto quello che si opponeva all’obiettivo. Con mirabile tenacia e coraggio non esitò a bussare alla porta dei sindaci di Cagliari, del presidente della Regione, del Ministero della Difesa e delle Finanze, del Comando della Marina, di collaborare con ingegneri, architetti, operai d’ogni tipo, fino ad arrivare al Presidente della Repubblica, purché la provincia avesse la sua “casa sul monte”, possibilmente all’ombra della Vergine “unica Madre della Compagnia”.

La seconda opera fu piuttosto interiore: quella di dare uno spessore spirituale alla nuova provincia in modo che la spiritualità e la fraternità fossero la spina dorsale delle opere. Si appoggiò molto all’intraprendenza del direttore, padre Angelo Vellano, ma il suo contributo e la sua iniziativa non furono per nulla gregari. Dalla loro collaborazione scaturì l’entusiasmo degli inizi della provincia, senza che mai decadesse in semplice sentimentalismo. Il suo desiderio più vivo fu l’apertura del seminario come luogo di formazione spirituale delle giovani suore. E ci riuscì. Austera, distaccata dalle persone e dalle cose, cercava Dio. Sotto un aspetto piuttosto rigido, apparentemente poco cordiale, nascondeva una profonda capacità di amare il Signore, la Chiesa, la Comunità, soprattutto la provincia e le sorelle. Viveva un’intensa vita interiore di preghiera e di mortificazione; sempre la prima in cappella e l’ultima ad accomiatarsi finché non avesse terminato la recita del rosario.

Arrivato nel 1970 il termine del suo mandato, non esitò con “semplicità e senza rimpianti” a scomparire come una meteora per affidare a suor Maria Rosaria Schirru la lampada accesa della carità alla quale le sorelle della provincia dovevano alimentarsi. Sugli Echi della Provincia, il padre direttore, padre Pedroncini Alessandro, scriveva di lei nel raccontare gli ultimi anni della sua esistenza da lui conosciuti: “Il tuo vivere sereno, discreto, gioioso e austero al tempo stesso, segnava la costante di un cammino che, da te iniziato, si estendeva nel tempo. Eri un richiamo autorevole per tutti noi. Avevamo l’impressione che il peso della conduzione della provincia non avesse mai abbandonato le tue spalle. Il corpo stanco era in cucina a pelare le patate, ma le dimensioni del cuore abbracciavano l’intera provincia. La tua forte maternità spirituale nei confronti della provincia era diventata carne della tua carne. Come desiderio e come cuore ogni sorella ancora ti apparteneva e avresti dato volentieri la vita perché fosse come Dio la voleva e come i poveri la sognavano”.

Nel suo quadernetto di appunti ha lasciato la sua sapienza spirituale in pensieri brevi a taglienti: “La carità si organizza con la testa, ma si fa con il cuore. – Signore quant’è difficile capire e farsi capire! – La carica umana non significa fare molti sorrisi e dire molte belle parole, ma piuttosto significa donarsi senza misura. – La lotta è dura, non c’è tregua. Ho bisogno di pregare, di pregare, di pregare. Aiutami, Signore: devo tornare bambina in semplicità e ricominciare coraggiosamente ogni giorno. – La Figlia della Carità si santifica vivendo una vita di ascesi. Niente la deve intralciare: né il frastuono della vita nel servizio del prossimo, né gli ostacoli inevitabili nella vita fraterna, né le snervatezze del tran tran quotidiano, né l’oscurità dello spirito, né l’abbandono o l’indifferenza delle creature, né il capovolgimento dei progetti. Il tutto deve servire a sublimare la propria consacrazione. – Signore al declino della vita fisica, fa che non corrisponda un declino della vita spirituale. Ti chiedo che mentre si abbassa il piattello della bilancia della vita fisica, quello della vita spirituale s’innalzi sempre più fino a Te. E si accresca in me la gioia, l’amore e la riconoscenza”. In queste parole è descritta l’anima di suor Aini, amata da tutte le sorelle della provincia.