Emma Caldi nacque il 16 ottobre 1866 a San Giorgio Piacentino, ove la sua famiglia, originaria di Milano, si era rifugiata per sfuggire al colera. In seguito la famiglia fece ritorno a Milano, dove il padre era impiegato in banca. Ebbe in dono un carattere vivace ed esuberante, che il papà assecondava, mentre la madre cercava di tenere a freno. Alla morte repentina del padre, la madre affidò la bambina alle orsoline di Piacenza. Poiché era attratta dall’amore al bello e all’arte, uno zio paterno, che era direttore del conservatorio di musica di Milano, sperava di farne una musicista. A 17 anni invece, in seguito alla morte di un fratello, sentì nascere in cuore un profondo senso di vuoto e pensò di dedicare l’esistenza ai poveri in terra di missione.
Il 20 marzo 1885 l’ospedale civile San Sepolcro di Piacenza l’accolse per il postulato. Poi fece il seminario, ed alla presa d’abito, il 16 gennaio 1886, invece che i cinesi, le furono affidati i sordomuti del Contubernio di Genova. Qui trovò predominante nell’istruzione ai sordomuti il metodo gesticolare. Non ne rimase convinta. Il “metodo orale”, così discusso all’epoca e che aveva iniziato ad imporsi dopo il famoso convegno a Milano del 1880, trovò in suor Caldi una valida sostenitrice. Siccome la limitazione o l’assenza del linguaggio verbale nei sordomuti è secondaria, dovuta a grave ipoacusia bilaterale insorta prima dell’acquisizione del linguaggio, i nuovi metodi insistevano nel valorizzare il fatto che l’audioleso poteva parlare e perciò si dovevano utilizzare metodi per favorirne l’allenamento acustico-vocale. A Genova si tenne un congresso, dove si discusse sulle esperienze circa il metodo orale, e suor Caldi espresse i suoi metodi, con vincendo i congressisti. Dopo circa 25 anni di esperienza a Genova, nel 1910 fu inviata all’orfanotrofio di Sassari per prendersi cura della sezione delle sordomute.
Con il sopraggiungere della prima guerra mondiale, suor Caldi fu destinata in continente al servizio infermieristico di un’ambulanza militare. Nell’ottobre del 1917 fu inviata ad Alessandria all’istituto dei sordomuti, che si trovava in una pessima situazione. C’erano molti debiti e solo 8 sordomuti. Nel giro di 10 anni lasciò l’istituto fiorente con 100 sordomuti che seguivano i corsi specializzati d’istruzione in un ambiente risanato. Con coraggio non esitò a prendere parte ai Congressi per audiolesi per tenersi sempre aggiornata nei metodi. Apprezzata per la seria preparazione, l’amore all’insegnamento e la vasta cultura, le fu concesso il Diploma di Benemerenza.
Intanto, portata a termine a Sassari, in via Rolando, la costruzione del nuovo Istituto dei Sordomuti, suor Caldi fu richiesta dall’amministrazione e, nel 1927, ritornò in Sardegna come superiora. L’istituto iniziò a funzionare per conto proprio, staccato dall’orfanotrofio e, il 29 dicembre 1927, fu riconosciuto come “Scuola Elementare Parificata Speciale per Audiolesi”. Gli alunni seguivano il corso elementare fino a conseguirne la licenza. Agli inizi i ragazzi erano 18, ma ben presto divennero un centinaio. Da questo momento la vita dell’istituto restò legata al carisma personale di suor Caldi. Nel 1946 il Ministero della Pubblica Istruzione le conferì una medaglia d’oro; ma terminata la cerimonia di consegna, diede la medaglia alla suora della sacrestia come ex-voto da mettere davanti alla statua della Madonna in cappella.
Nel 1952 lasciò l’incarico di superiora, ma restò nell’istituto, dove morì a 92 anni di età e 73 di vocazione, il 26 agosto 1958, dopo 31 anni passati all’Istituto dei Sordomuti a Sassari. Il segreto della sua fecondità fu la carità, che le faceva accettare tutti i rimproveri e le umiliazioni; e l’effetto visibile della carità era la sua bontà d’animo. “Suor Caldi – ha osservato una suora – aveva una tolleranza infinita. Dopo un rimprovero cercava di cancellare il risentimento che poteva derivarne, dando un ordine con grande dolcezza, e se credeva di essere stata troppo severa, non aveva timore a chiedere apertamente perdono, abbracciando affettuosamente la sorella interessata”.