La figura di suor Carolina Maria Volpari è legata all’ospedale civile di Sassari, dove è morta dopo 60 anni di servizio. Era nata nel maggio 1864 a Sesto Compasso, in provincia di Cremona, ultima di cinque figli. Fin dalla giovinezza suor Carolina aveva conosciuto padre Manzella, nativo di Soncino, un paese vicino al suo, tanto che prima di decidere se entrare tra i Preti della Missione oppure in seminario diocesano egli aveva chiesto consiglio proprio a suor Volpari. Si ritroveranno poi insieme a Sassari, dove padre Manzella conserverà sempre una grande devozione per lei.
A vent’anni entrò tra le Figlie della Carità. Con la presa d’abito fu inviata a Genova presso l’Infanzia Abbandonata, ma dopo sei mesi fu mandata all’Istituto dei Sordomuti di Cagliari, che era stato aperto da qualche anno. Rimase a Cagliari solo due anni, perché nel 1888 venne nuovamente trasferita e, questa volta, in quella che sarà la sua dimora per tutta la vita, a Sassari, presso l’Ospedale Civile. Aveva 24 anni. Con il nuovo nome di suor Angelica, fu incaricata della farmacia. Durante un’epidemia di colera, le autorità decisero di far trasportare i malati nell’isola dell’Asinara, per limitare il contagio. Vennero chieste al1’ospedale tre suore per curare questi malati. Suor Angelica, benché giovanissima, si offrì volontaria. Pur in mezzo al pericolo tutte e tre le suore vennero preservate dal contagio e, terminata l’epidemia, ritornarono al loro servizio in ospedale.
Qualche anno dopo venne a morire la superiora ed il consiglio di amministrazione chiese alla Comunità di nominare al suo posto suor Volpari. Non aveva che dodici anni di vocazione e 32 di età. Alla responsabilità e alla cura delle suore si assommarono le funzioni di economa del1’ospedale. L’ospedale si trovava in misere condizioni finanziarie, ma lei affidata alla Provvidenza seppe trovare benefattori che devolvessero i loro beni per la cura dei malati. Si recava ogni giorno al letto dei malati, e così si attirò la stima dei ricoverati e del personale amministrativo e sanitario.
Dotata di una spiccata intelligenza si faceva passare per una povera ignorante. Secondo l’insegnamento di san Vincenzo, cercava di restare nell’ombra della “sua nullità”. “Se capitava qualcosa di penoso, era sempre lei che accettava di avere torto e riparava! Per attenuare le privazioni delle sue compagne andava lei stessa a raccogliere la legna per accendere un po’ di fuoco in camera di comunità. Negli uffici, in cucina, in lavanderia portava il suo aiuto nei momenti di maggior bisogno”. Quando alla fine della vita l’amministrazione le offrì una medaglia d’oro per i meriti del servizio, fu un vero supplizio. Faceva di tutto per nascondersi, e quando non poteva aveva un ritornello con cui si scherniva: “Siamo miserabili!”.
I rapporti di suor Volpari con le sue compagne, la formazione che dava alle più giovani erano improntate al soprannaturale. Le amava tutte indistintamente, le stimolava nell’opera della santificazione personale ed insegnava loro a dedicarvisi servendo i poveri: “Quando distribuisce i pasti agli ammalati, – diceva ad una giovane suora -, pensi con quanto amore Nostro Signore operò il miracolo della moltiplicazione dei pani per distribuirli alla folla bramosa di seguirlo e di ascoltare la sua divina parola. Così distribuendo il vino ricordi la bontà di Gesù alle nozze di Cana. Ad ogni pasto si assicuri che i malati abbiano consumato quello che ha loro servito e supplisca ai bisogni di quelli che hanno necessità di un nutrimento diverso: la suora deve essere una vera mamma per loro”. Insisteva perché al benessere materiale del malato si unisse quello spirituale e voleva che ogni suora facesse un po’ di catechismo ai propri malati brevemente e semplicemente, come voleva san Vincenzo, affinché i mezzi di salvezza fossero alla portata di tutti. Ciò che costituiva il bene dei poveri doveva essere conservato con cura: acqua, luce, gas, ecc. Quante volte la si vedeva chinarsi per raccogliere un oggetto che poteva ancora servire: “È patrimonio dei poveri, sorelle, bisogna conservarlo gelosamente”, ed a tale proposito richiamava spesso anche il personale: “I nostri benefattori si sono imposti dei sacrifici forse anche privandosi del necessario per venire incontro ai bisogni dei poveri, quale responsabilità per noi se sciupiamo questi beni!”.
Molto pratica, suor Volpari aveva una giusta comprensione dei bisogni e delle esigenze della vita; quindi sapeva adattarsi ai tempi ed alle circostanze. Faceva sue le pene delle compagne e cercava di addolcirle con tenerezza materna! La sua bontà rendeva lieta e riposante l’atmosfera della comunità malgrado le inevitabili contrarietà. L’unione dei cuori era la sua più grande consolazione. Quando in occasione della sua festa, le sue antiche compagne destinate in seguito ad altre case della città, ritornavano per qualche ora nella famiglia dell’ospedale, lei era raggiante ed esclamava: “Oh, sorelle, com’è bello essere unite nella carità, formare una sola fiamma d’amore per offrirla al buon Dio!”.
Vi fu un’epoca in cui, oltre alla direzione dell’ospedale civile, suor Volpari dovette occuparsi anche delle suore addette alle carceri giudiziarie e al brefotrofio provinciale. Allora la si incontrava spesso per la città: lei che non usciva che per necessità! Negli ultimi anni della sua vita il Signore volle provarla con una progressiva diminuzione di memoria, il che le causava grandissime sofferenze morali e fisiche. Visse fino a 85 anni di età. Morì nel 1948 all’ospedale civile di Sassari.