Origini e primi anni di sacerdozio (1581 – 1608)
Terzo dei sei figli di Jean e Bertrande de Moras, Vincenzo nasce nell’aprile del 1581 a Pouy, un villaggio vicino Dax, nelle Lande della Guascogna, nel sud-ovest della Francia. Le sue origini contadine caratterizzarono la fanciullezza di Vincenzo, impegnandolo in occupazioni quali quelle di badare al bestiame di famiglia ed eseguire i più comuni lavori campestri. Ben presto, però, accortisi delle sue capacità intellettive, i genitori decisero di farlo studiare affidandolo, nel 1595, ai francescani del vicino convento di Dax. Rimase qui solo pochi mesi perché, forse su raccomandazione dei frati, si guadagnò l’insperato interesse di un protettore, il signor de Comet, avvocato di Dax e giudice di Pouy che lo accolse in casa come precettore dei suoi figli e lo convinse ad intraprendere gli studi ecclesiastici. Ricevuta la tonsura e gli ordini minori nel 1596 studiò teologia a Tolosa e nel 1600, non ancora terminati gli studi, fu ordinato sacerdote. Lo stesso anno dell’ordinazione si fece largo per ottenere, nella sua diocesi, un beneficio ecclesiastico. Con l’appoggio del signor de Comet fu nominato parroco di Tilh dal vicario generale: dovette tuttavia rinunciarvi poiché la legittimità di quel beneficio gli fu contestata da un altro prete in possesso della stessa nomina. Questa, insieme ad altre esperienze negative gli tarparono le ali dell’entusiasmo, tanto che nel 1608, quando arriverà a Parigi, avvertirà di essere già un prete finito. Nel 1604 terminò gli studi acquisendo il grado di baccelliere. Il periodo dal 1605 al 1607, è il più discusso della biografia dei santo. Un periodo oscuro, in cui si perdono le sue tracce, per il quale l’unica documentazione da cui trarre informazioni è costituita da due lettere scritte nel 1607 e 1608 a Monsieur de Comet, dove il Santo racconta che per riscuotere l’eredità di un testamento in suo favore si recò a Marsiglia, ma nel ritorno a Tolosa l’imbarcazione su cui viaggiava fu assalita dai corsari turchi che lo fecero prigioniero e lo vendettero come schiavo. Vincenzo racconta di essere stato venduto ad un pescatore, poi ad un medico alchimista ed infine, ad un rinnegato, un ex frate francescano con tre mogli che per opera di Vincenzo decise di tornare alla fede cattolica restituendogli la libertà in segno di riconoscenza e gratitudine. Decise allora di andare a Parigi desideroso di un beneficio, indispensabile per la sua stabilità economica. Dalla capitale francese, nel 1610, scrisse alla madre delle sue traversie e dei suoi progetti sperando ancora di potersi “ritirare onoratamente”.
Un cammino di conversione (1609 -1617)
In questo contesto di proponimenti e aspirazioni, costellato di speranze e delusioni, alcuni episodi e personaggi incisero profondamente sulla “conversione” del Santo. Vincenzo visse, nel 1609, durante il soggiorno a Parigi, una delle umiliazioni più cocenti della sua vita: fu, infatti, accusato di furto reagendo coraggiosamente all’imputazione con grande virtù ed umiltà. In quell’occasione conobbe Pierre de Bérulle, personaggio di spicco della spiritualità francese di quel tempo che, pochi anni dopo Vincenzo scelse come suo direttore spirituale. Il suo interesse orientato non più esclusivamente a mete di ascesa sociale, ma anche e soprattutto ad una crescita di ordine spirituale, costituisce un ulteriore indizio dei cambiamenti che Vincenzo vive in questo periodo. Persino la profonda crisi spirituale che affrontò tra il 1611 ed il 1616 può essere considerata frutto di un suo cambiamento spirituale. La radice di questa tribolazione può essere ricercata in un preciso episodio: alla corte della regina Margherita, il Santo incontrò un dottore in teologia tentato fortemente contro la fede a tal punto da volersi suicidare. Vincenzo lo tranquillizzò pregando Dio di trasferire nella propria anima i suoi tormenti. Così mentre il teologo riacquistava la fede in Dio, Vincenzo cadeva nel turbine di una profonda crisi spirituale, che terminò soltanto con la definitiva decisione di consacrare la sua vita al servizio dei poveri. Lo smarrimento non aveva comunque interrotto il cammino di conversione sul quale il Signore aveva avviato il nostro santo. Nel 1612, infatti, il Bérulle, dovendo trovare un curato per la parrocchia di Clichy, alla periferia di Parigi, propose l’incarico a Vincenzo che accettò con gran entusiasmo. Prese possesso della parrocchia il 2 maggio dello stesso anno e qui iniziò a predicare con entusiasmo e persuasione, visitando gli infermi, gli afflitti, i poveri. Riferendosi al periodo vissuto a Clichy, anni dopo, raccontò: Un giorno il cardinale di Retz mi domandava: “Ebbene! Signore, come state?” Gli risposi: “Monsignore, sono tanto contento da non dirsi”. “Perché?” “Perché ho un popolo tanto buono, tanto obbediente a tutto quello che gli dico, che penso in me stesso che neppure il papa, né voi, monsignore, siate felici quanto me”. Nel 1613 il Bérulle lo invitò a lasciare Clichy per entrare, come precettore, in una delle più illustri famiglie di Francia: i Gondi, famiglia di banchieri fiorentini che avevano fatto fortuna con Caterina de Medici. Vincenzo accettò il nuovo incarico anche se mantenne la cura della parrocchia di Clichy fino al 1626. In segno di riconoscenza per i suoi favori spirituali, certi ormai delle sue qualità, i Gondi nominarono Vincenzo cappellano dei loro feudi. Finalmente si realizzava il suo sogno tanto ambito: una carica ecclesiastica presso la nobiltà francese che gli assicurasse una vita agiata e senza problemi. Ma ormai Vincenzo aveva maturato un profondo cambiamento.
1617: l’anno della grande svolta
Le nuove difficoltà avevano messo a dura prova il suo stato d’animo, provocando quel lungo periodo di nebbia, durato circa un decennio, che trovò una breve tregua nel 1612, anno in cui fu parroco a Clichy, e che sfumò completamente solo nel 1617, allorquando ebbe sicura coscienza della propria vocazione al servizio e all’evangelizzazione dei poveri. Proprio al 1617, infatti, risalgono i due incontri-eventi che gli svelano la realtà del mondo dei poveri: l’incontro con un contadino prima, e con una famiglia poi, gli manifesterà l’altra faccia della povertà, non solo quella di “pane”, ma anche quella spirituale, la povertà di giustizia e di dignità. Nel gennaio del 1617, durante una visita a Folleville, fu chiamato al capezzale di un contadino del vicino villaggio di Gannes. Vincenzo incoraggiò il moribondo ad effettuare una confessione generale, il cui esito andò ben oltre le aspettative del santo. Il contadino, infatti, cominciò a confessare mancanze molto gravi, sempre taciute nelle precedenti confessioni. Al termine della confessione, quel pover’uomo si sentì liberato dai rimorsi che lo avevano accompagnato fino ad allora e fu invaso da una gioia incontenibile. Nei tre giorni di vita che ancora gli rimasero la grazia lo spinse a fare confessione pubblica, anche in presenza della signora Gondi di cui era vassallo, dei gravi peccati commessi nella sua vita passata. La signora Gondi rimase scossa: “Ah! Signore, che cosa è mai? Che cosa abbiamo udito? Senza dubbio avviene lo stesso della maggior parte di questa povera gente. Ah! Se quest’uomo che passava per un uomo dabbene, era in uno stato di dannazione, che sarà degli altri che vivono peggio di lui? Ah! Signor Vincenzo, quante anime si dannano!Come rimediarvi?” Il 25 gennaio, pochi giorni dopo quella confessione, nella festa della conversione di san Paolo, Vincenzo tenne una predica in cui insegnava come fare la confessione generale. Era un martedì, ma era tanta la gente accorsa che Vincenzo non poté confessare tutti. Furono chiamati in aiuto i Gesuiti di Amiens, segno che la predica aveva realmente colpito quelle anime. Per Vincenzo fu una rivelazione. Sentì che quella era la sua missione, l’opera che Dio voleva da lui: portare il Vangelo alla povera gente delle campagne. Otto anni dopo fondò la Congregazione della Missione con questo specifico carisma spirituale e considerò sempre il 25 gennaio 1617 come giorno di fondazione della Compagnia e la predica fatta in quel giorno come “la prima predica della Missione”. All’aumentare del suo zelo apostolico, cresceva tuttavia anche il disagio nel suo ruolo di precettore dei bisbetici figli dei signori Gondi. Sempre più convinto di non essere adatto a tale compito, espose i suoi sentimenti ed i suoi progetti al suo padre spirituale, il Bérulle, che gli affidò la cura pastorale della parrocchia di Chatillon les Dombes (oggi Chátillon sur Chalaronne), una cittadina nei pressi di Lione da poco passata alla Francia e che risentiva fortemente dell’influsso calvinista della vicina Ginevra. Partì immediatamente, senza nemmeno comunicare ai Gondi le sue nuove intenzioni. Era la Quaresima del 1617. Si trasferì subito nella sua parrocchia. L’esperienza fondante della Compagnia della Carità ebbe luogo in questa parrocchia, il 20 agosto 1617. “Una domenica, mentre mi vestivo per dire la santa Messa, vennero a dirmi che in una casa isolata, ad un quarto di lega di distanza, tutti erano malati, senza che rimanesse una sola persona per assistere gli altri, e tutti in una miseria da non dirsi. Ne fui veramente commosso. Non mancai di raccomandarli nella predica, con affetto, e Dio, toccando il cuore di quelli che mi ascoltavano, fece sì che tutti fossero presi da compassione per quei poveri sventurati. Dopo i vespri, presi un galantuomo, un borghese della città, ed insieme ci mettemmo in cammino. Sulla via incontrammo alcune donne che ci precedevano, e un poco più in là, altre che tornavano: ve n’erano tante che l’avreste detta una processione. Proposi a tutte le buone persone che la carità aveva spinto a recarsi colà, di quotarsi, un giorno per una, per far da mangiare non soltanto per quelli ma anche per coloro che sarebbero venuti dopo, ed è il primo luogo dove la carità fu istituita”. Per vincere questa partita scelse di giocare la carta migliore, quella della generosità: si impegnò come prete nelle missioni popolari e si dedicò a fondare associazioni laiche d’azione caritativa. Le persone che vi aderivano s’impegnavano ad assistere i poveri del proprio villaggio e della propria parrocchia. Sicché l’iniziativa gradualmente si diffuse, riscontrando generosi interventi soprattutto dalle donne, sposate ma anche nubili. Nello stesso tempo e con la stessa urgenza nasce, nella missione, l’esigenza di avere un gruppo fisso di predicatori, decisi a vivere insieme la gioia e la passione della vita apostolica. Nacque così la Congregazione della Missione (1625), una comunità di sacerdoti e fratelli chiamati alla perfezione personale, all’evangelizzazione dei poveri e alla formazione del clero, naturalmente nei seminari. L’esperienza delle Compagnie della Carità, ormai moltiplicate, aveva rivelato la maggior disponibilità della donna alle iniziative per i poveri, e la necessità di un impegno nella carità a tempo pieno. Ciò indusse Vincenzo ad affiancare le dame in una nuova comunità femminile, quella delle Figlie delle Carità (1633), e nell’ambito di questo progetto Vincenzo trovò in S. Luisa de Marillac una collaboratrice intelligente e preparata, in grado di interpretare gli orientamenti della sua intuizione. La nuova comunità era composta da suore di vita attiva, non legate al vincolo della clausura, con voti annuali privati, quindi esenti dagli ordinari, e tuttavia con una regola basata sulla vita comune e su precisi impegni di preghiera e servizio. Un’esperienza religiosa femminile completamente nuova, che superava i rigidi schemi del tempo, basati sull’esclusione della donna dall’apostolato.
Dalle Dame della Carità alle Figlie della Carità (1617 – 1633)
In poco tempo, le Confraternite si affermavano nelle grandi città francesi. Ad esse aderivano sempre più numerose le dame e dovunque il riscontro risultava sempre positivo, sia da parte delle autorità ecclesiastiche che di quelle civili. Nel 1629 le Confraternite della Carità raggiunsero Parigi e nel giro di pochi anni non vi fu parrocchia nella capitale che non avesse la sua Confraternita. Le vediamo impegnarsi in molteplici direzioni: nell’opera dei trovatelli, allora considerati “figli del peccato”; nei soccorsi alla Lorena nel 1639, alla Piccardia nel 1641, alla Champagne nel 1643; presso l’opera dei prigionieri e galeotti; nell’opera dei mendicanti per cui le dame fecero costruire un grande ospedale in Parigi. Si prodigarono per il sovvenzionamento delle missioni all’estero per la propagazione della fede in terre da evangelizzare (Barberia, Madagascar, ecc). Le dame, però, vincolate alla famiglia, alla vita privata, spesso anche al proprio titolo nobiliare, difettavano del tempo e della condizione necessari a dedicarsi in prima persona a queste occorrenze. Ma Vincenzo seppe far fronte a tale problema. Nel 1645, infatti, scriveva all’Arcivescovo di Parigi: “Poiché le Dame, che compongono questa Confraternita [della Carità] sono per la maggior parte di nobile condizione che non permette loro di adempiere alle più basse e vili faccende occorrenti nell’esercizio della Confraternita stessa come per esempio portare la pentola per la città, fare salassi, preparare e fare i clisteri, medicare le piaghe, rifare i letti e vegliare i malati che sono soli e si avvicinano alla morte, ecco che hanno preso alcune buone ragazze di campagna, a cui Iddio aveva messo in cuore di assistere i poveri malati. Ed esse adempiono tutti questi piccoli servizi dopo essere state impratichite a tale scopo da una virtuosa vedova chiamata Madamigella Le Gras [Luisa de Marillac].” Siamo alla fondazione delle Figlie della Carità (1633). Il loro stile di vita, si ispirava a quello delle comunità religiose femminili, ma il loro carisma era legato ad una concezione del tutto nuova della vita consacrata femminile. Fu evitato accuratamente ogni segno distintivo canonico che potesse equivocarne la condizione, qualificandole come religiose. Anzitutto, chiese che la Compagnia fosse approvata come Confraternita e non come comunità religiosa: questa scelta si rivelerà fondamentale per la realizzazione del suo proposito di vedere queste donne non più rinchiuse tra le mura di un monastero, ma attive e operanti nel mondo, tra la gente; non più “monache”, donne sole, ma “suore”, sorelle di tutti, aperte alle esigenze degli altri spiritualmente, ma anche e soprattutto nella concretezza della quotidianità, compagne di viaggio dei più sciagurati, stimolo costante alla solidarietà, alla fratellanza e alla ricerca delle cose essenziali che fanno l’uno prossimo dell’altro. Dopo il 1633 le opere vincenziane conobbero un incremento notevole. Nel 1636 furono mandati dei missionari come cappellani nell’esercito. Le devastazioni della Lorena, Piccardia, Champagne e Ile-de-France indussero Vincenzo a organizzare i soccorsi per le popolazioni colpite. Nel 1638, dopo aver promosso la presenza delle Figlie della Carità negli ospedali, iniziò l’opera in favore degli orfani.
Il periodo della maturità spirituale (1633 – 1660)
Nel 1633 la vita del santo affrontò un’altra, la terza, svolta. Vincenzo aveva ormai 53 anni ed era lontana l’epoca dell’ambizione. Erano gli altri, la società, che gli riconoscevano un ruolo carismatico, che avevano bisogno di lui. E lui era pronto, libero di servire. Vincenzo coadiuvò la riforma monastica e in quell’anno istituì le “conferenze del martedì” per il miglioramento del clero. Dieci anni dopo, alla morte di Luigi XIII, allorquando la regina Anna d’Austria passò al potere della Francia, tale impegno gli valse la nomina a membro del Consiglio di coscienza. In quest’ultimo terzo della sua vita, la storia di Vincenzo diventa un pezzo della storia della chiesa universale e della storia della Francia. Si intreccia con la storia bellica della Francia: nel 1632 l’invasione della Lorena, nel 1649 la guerra della Fronda. La Congregazione della Missione si espande sempre più (nel 1660 era composta da 426 preti e 196 fratelli coauditori): nel 1636 i missionari prendono la cura dei seminario di Parigi, si diffondono nel mondo (1642 Italia, 1645 Tunisi, 1646 Algeri e Irlanda, 1648 Madagascar, 1651 Polonia), predicano missioni popolari nelle campagne a ritmo continuo (tra il 1625 ed il 1632 circa 140 missioni, dal 1642 al 1660 solo la casa di San Lazzaro circa 700). La presenza della Figlie della Carità era ormai avvertita come indispensabile dappertutto: scuole, ospedali, parrocchie, mentre le Dame della Carità non si limitarono più alla sola visita dei malati: intrapresero l’opera dei trovatelli, prestarono servizio ai feriti durante la guerra, ai galeotti, ai mendicanti, etc. Direttamente impegnato nella gestione delle missioni, nonostante il frenetico ritmo di vita, Vincenzo non era affatto una persona tesa, indisponente, frenetica. Pur avendo il genio dell’organizzazione, quello che colpisce non è il metodo, ma lo spirito del suo lavoro. Era cosciente di fare un’opera di Dio. La coerenza interna del suo pensiero e della sua azione nasce proprio dall’unione di carità e Vangelo. Aveva scoperto di essere stato ricercato da Dio, raggiunto da Lui. Si sentiva amato e voleva amare. Il suo zelo, la sua passione per le anime era unicamente espressione del suo amore per Dio. Il 27 settembre 1660 Vincenzo muore. Era vestito, seduto su una sedia, vicino al fuoco… come in attesa di qualcuno. Le sue ultime parole furono: “Gesù”. Papa Benedetto XIII lo ha proclamato beato il 13 agosto 1729: è stato canonizzato il 16 giugno 1737 da papa Clemente XII.
Autore: padre Luigi Mezzadri CM