Se si rivolgesse a Vincenzo de’ Paoli questa domanda, egli risponderebbe semplicemente così:
Il bene che Dio vuole si fa quasi da se stesso senza che noi vi pensiamo… Così sono sorte tutte le opere in cui ora ci troviamo impegnati. E nulla di tutto questo è stato fatto su nostro disegno, ma Dio, che voleva essere servito in tali occasioni, le ha fatte nascere, Lui stesso, insensibilmente; e si è servito di noi senza che noi sapessimo dove ci avrebbe portato. È per questa ragione che noi lo lasciamo fare, ben lontani dal darci premura per lo sviluppo, e tanto meno per l’inizio di queste opere.
Claude Dulong ritiene che Vincenzo sia riuscito a realizzare la fondazione delle Figlie della Carità perché era già in atto una certa evoluzione della mentalità, ma anche per la sua umiltà, per la sua tenacia e combattività ed infine per le relazioni che egli aveva con persone autorevoli e influenti. Qualche esempio: la Compagnia del SS. Sacramento fu per lui di grandissimo aiuto, non solo nel promuovere il moltiplicarsi delle Charités, ma anche in tante altre emergenze a favore dei trovatelli, dei galeotti, dei profughi per le guerre. Che cosa dire poi della particolare protezione della regina Anna d’Austria? Questa non gli venne mai meno, malgrado la presenza di Mazzarino, che si preoccupava di tutti gli influssi, che poteva subire la reggente, dalla quale derivava il suo potere e attraverso la quale lo esercitava. Certamente le Figlie della Carità nacquero dal successo delle Confraternite della Carità, fondate nel 1617 a Châtillons-les-Dombes. Più volte nelle sue conferenze, san Vincenzo rievocherà l’evento straordinario, che è all’origine di quell’intuizione carismatica, definita da Papa Giovanni Paolo II di una bruciante attualità. Dopo tre mesi di esperienza, la Confraternita di Châtillon riceveva il riconoscimento giuridico dal Vescovo di Lione e l’approvazione del suo regolamento. E subito dopo ne sorsero altre qua e là.
È bene ricordare che, al tempo di San Vincenzo, esistevano già simili confraternite. Alcune di queste risalivano al X e XII secolo e avevano obiettivi diversi: il culto divino, la difesa della dottrina, vi era anche lo scopo caritativo, ma il servizio dei poveri non era al primo posto e non c’era sempre e dappertutto, come nelle confraternite aggregate agli ordini dei mendicanti. L’innovazione di Vincenzo consisteva nell’aver messo al primo posto il povero, perché il povero è Gesù Cristo: nella miseria, nella malattia, nell’infermità è sempre Gesù che soffre. Servire i poveri è servire Gesù Cristo. Da qui è facile intuire l’entusiasmo dei membri delle confraternite della Carità: esse erano per lo più donne, nubili o sposate, che per amore dei poveri si facevano cuciniere, infermiere, facchine; salivano con carichi di masserizie in stamberghe sudice, visitavano ospedali, dove erano ammucchiati malati di ogni specie fino a dodici per giaciglio, destinati a morire di abbandono e di infezione. Ma la loro gioia era grande. Nei bassifondi esse toccavano il cielo, chinandosi maternamente su di loro; erano convinte di scorgere il Cristo malato, agonizzante, morente di fame, tremante per il freddo o per la vecchiaia. La loro assistenza aveva un fine ben preciso. Andate alle anime attraverso i corpi, ripeteva loro san Vincenzo, che mirava alla promozione integrale dell’uomo, a restituirgli la dignità di figlio di Dio, a mostrargli che Dio gli era Padre e lo amava teneramente. Questi sentimenti pervadono ogni pagina, ogni parola del Regolamento delle Confraternite della Carità; sorprendono inoltre i particolari, l’uso degli avverbi e degli aggettivi:
Ognuna delle dette serve dei poveri preparerà il pasto per i malati e li servirà per un giorno intero. Comincerà la priora, seguirà la tesoriera, poi l’assistente e così una dopo l’altra, secondo l’ordine della loro iscrizione (o ingresso)… Quella che sarà di turno, preso dalla tesoriera ciò che sarà necessario per nutrire i poveri nel suo giorno, preparerà il cibo, lo porterà ai malati; avvicinandoli, li saluterà con gioia e carità, sistemerà la tavoletta sul letto, stenderà sopra una tovaglietta, una scodella, un cucchiaio e un pezzo di pane. … Farà lavare le mani ai malati e reciterà il Benedicite, … servirà poi la minestra… la carne… e li inviterà caritatevolmente a mangiare per amore di Gesù e della sua santa Madre; farà tutto con la tenerezza che userebbe con un suo figliolo, o meglio con Dio stesso, che ritiene fatto a sé il bene che si fa ai poveri…
Un’altra sottolineatura rivela tutta la delicatezza e la fine psicologia di Vincenzo: Si ricorderà di cominciare (le visite) sempre da coloro che hanno presso di sé qualcuno per finire con chi è solo, onde poter restare più a lungo.
È evidente il tono semplice e squisitamente materno. A Vincenzo non sfugge nulla. Giustamente è stato detto che nessuno come lui ha amato il volto di Dio nell’uomo, lasciando trasparire dalle parole e dalle azioni la tenerezza di Cristo. Ciò che colpisce nel regolamento delle Confraternite della Carità è lo spirito del Signore Gesù che aleggia e sottende ogni parola, orienta il fine del gruppo e ispira il modo di servire i poveri. A queste volontarie della carità, riunite per il loro primo invio in missione, il 23 agosto 1617, Vincenzo rivela la sublimità del servizio dei poveri, riportando il noto passo di Matteo 25: Venite benedetti dal Padre mio… avevo fame, avevo sete, ero malato… qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei lo avete fatto a me. Sembra voler dire loro: Pensateci bene! Nel povero che, da domani, andrete a visitare e a curare vi è Cristo. Lo ha detto Lui. In questo troverete la forza e la gioia del vostro servizio. Il Regolamento termina, ricordando alle associate di fare tutte le loro azioni per pura carità verso i poveri e non per fini umani. Queste confraternite si moltiplicarono rapidamente non solo nelle campagne, nei villaggi, ma anche nelle città e dal 1629 nella stessa capitale, a Parigi. Per mantenerle nel fervore della carità ed incoraggiarle, Vincenzo redige regolamenti, le segue con il suo consiglio, si reca da loro periodicamente, oppure manda uno dei preti della Missione e, a partire dal 1629, la stessa Luisa de Marillac.