Nel 1645 san Vincenzo, considerando gli sviluppi della Compagnia e il fatto che i voti, anche se privati, consolidavano le sue figlie nella vocazione, ritenne giunto il momento di chiedere l’approvazione ecclesiastica e civile per dare loro una esistenza giuridica, distinta da quella delle Dame della Carità. In quest’operazione espresse una fine attenzione e molta precauzione. Infatti, nel rivolgere la domanda all’arcivescovo di Parigi, G. Francesco de Gondi, chiedeva l’erezione a semplice Confraternita o società di pie donne, nubili o vedove, senza voti pubblici, al fine di conservare alle Figlie della Carità la libertà di andare e venire per il servizio dei poveri. Il 20 novembre 1646, la Compagnia veniva eretta canonicamente, con il semplice nome di Confraternita delle sorelle della Carità, serve dei poveri malati. Soltanto il 30 maggio 1647, san Vincenzo lo comunicava alla sue figlie, sottolineando che da questo momento esse costituivano un corpo distinto da quello delle Dame della Carità, anche se non separato, con esercizi e funzioni proprie e particolari. Le Figlie della Carità divenivano così un’associazione di diritto diocesano, alle dipendenze dell’ordinario del luogo; questo rendeva molto fragile la situazione della Compagnia, perché ciò che l’arcivescovo di Parigi aveva fatto, poteva essere distrutto da un successore. Per questo, attraverso la regina Anna d’Austria, fu rivolta una supplica al Papa per ottenere che le Figlie della Carità dipendessero da Vincenzo e i suoi successori. Tale domanda non ebbe alcun esito. Vincenzo e Luisa combatterono con ogni mezzo e contro tutti perché le loro figlie non diventassero monache. In occasione della richiesta dell’approvazione civile santa Luisa riferisce a san Vincenzo l’incontro avuto, nell’aprile 1650, con il procuratore generale, Biagio Méliand:
Mi chiese se pretendevamo essere religiose o secolari… Gli feci capire che volevamo solo il secondo titolo… A questo punto egli disse che tale sistema era senza precedenti. … Io insistetti portando varie motivazioni, per cui alla fine mostrò di non disapprovare tale disegno, ma trattandosi di cosa di molta importanza, disse che voleva pensarci bene.
Sarà la fedeltà ai poveri e al disegno di Dio sulla Compagnia a portare al successo questa iniziativa così ardita per la concezione della vita consacrata del ’600. Infatti, il 18 gennaio 1655, la Compagnia delle Figlie della Carità, dopo varie peripezie, riceveva l’approvazione definitiva dallo stesso Gian Francesco de Gondi, divenuto cardinale di Retz. In essa vi è una notevole differenza rispetto alla prima redazione, e cioè: la guida della Compagnia viene affidata non più ai vescovi, ma a san Vincenzo e ai suoi successori per conservare l’unità della Compagnia. L’8 agosto dello stesso anno san Vincenzo firmava l’atto di fondazione della Confraternita insieme a santa Luisa e ad altre suore. L’approvazione civile da parte di Luigi XIV avvenne nel novembre 1657 e fu registrata al parlamento di Parigi il 16 dicembre 1658. In essa si ribadiva il nome di semplice Confraternita (società di pie donne, nubili o vedove) senza voti pubblici, al fine di avere la libertà di andare e venire per il servizio dei poveri. Ma il termine Confraternita non andava a genio a qualche spirito delicato. Santa Luisa ne informa san Vincenzo, il quale si affretta a dare ulteriori spiegazioni:
Sorelle, si è giudicato opportuno confermare per voi la denominazione di società o confraternita. L’ha voluto monsignor arcivescovo medesimo per timore che, se aveste preso il nome di congregazione, qualcuno un domani avrebbe potuto cercare di cambiare la vostra casa in chiostro e le Figlie della Carità in monache, come è avvenuto per le suore di Santa Maria. Dio ha permesso che povere giovani prendessero il loro posto… Non acconsentite mai al cambiamento di qualsiasi cosa, fuggitelo come un veleno e dite che il nome di Confraternita o Società vi è stato dato perché rimaniate stabili nello spirito primitivo impresso da Dio alla vostra congregazione fin dall’origine. Sorelle, ve ne scongiuro con tutto il cuore. Per essere buone Figlie della Carità dovete comportarvi così: andare dove Dio vorrà, se in Africa, in Africa; negli eserciti, nelle Indie, dove siete richieste, e subito! Siete Figlie della Carità, dovete andarvi. Nostro Signore ha dunque fatto una Compagnia più sua che vostra, della quale voi siete le membra. Per questo vi si chiama Figlie della Carità, ossia Figlie di Dio. Umiliatevi, abbassatevi al di sotto di tutti, vedendo che Dio vuole servirsi di povere campagnole per cose tanto grandi.
Santa Luisa, che vibra all’unisono con san Vincenzo, così scrive a fratel Ducourneau:
Alle giovani di Saint-Fargeau che chiedono di essere ricevute tra le Figlie della Carità, è necessario far sapere che [questa Compagnia] non è un ordine religioso, né un ospedale da dove non ci si debba mai allontanare, ma bisogna andare continuamente a cercare i poveri malati, in vari luoghi, con qualsiasi tempo e a ore stabilite.
Il pensiero dei fondatori diviene sempre più limpido e incisivo, al punto che all’età di 80 anni, san Vincenzo commenterà dettagliatamente la Magna Charta con parole di fuoco, per imprimerla in maniera indelebile nella mente e nel cuore delle sue figlie:
Ricordatevelo bene, ve lo ripeto: il vostro monastero è la casa dei malati e quella dove risiede la superiora; la vostra cella è la vostra camera d’affitto. In questo assomigliate di più a Nostro Signore. Per cappella la chiesa parrocchiale, dove assisterete sempre al divino Sacrificio, dando il buon esempio ed essendo sempre di edificazione al popolo, senza lasciare tuttavia il servizio necessario dei malati. Per clausura l’obbedienza, non oltrepassando mai quello che vi è comandato, ma rinchiudendovi in essa. Per grata il timore di Dio. Per velo la santa modestia.
Per entusiasmarle maggiormente aggiunge:
E come sarà mai in paradiso una Figlia della Carità che sia vissuta come vi ho detto e non abbia avuto per cella se non una camera d’affitto e per clausura l’obbedienza? Sì, sorelle, se avrete lo spirito d’obbedienza, vi sentirete più in clausura delle monache che vi sono rinchiuse. Per grata, il timore di Dio: sorelle, il timore di Dio è una buona grata. Per velo, la santa modestia. Se avrete queste virtù, sarete religiose professe.
L’8 giugno 1668 il cardinale Luigi de Vendôme, quale legato a latere del Papa Clemente IX, confermava l’approvazione dell’arcivescovo di Parigi e dava alla Compagnia il sigillo dell’autorità apostolica, conservando il suo carattere specifico di secolarità.