L’architettura della vita spirituale del missionario

L’unico testo riflesso della sua spiritualità consegnata ai missionari, come si è già osservato, sono Le Regole Comuni, ed in particolare il capitolo secondo sulle Massime evangeliche, ove è rispecchiata l’esperienza spirituale che si era sviluppata dall’inizio nella Missione. E’ proprio di esse – come osservavamo – che san Vincenzo fa un ampio commento nelle Conferenze ai Preti della Missione. Nella saggistica vincenziana corrente si tende a porre un po’ troppo affrettatamente il centro della spiritualità del prete della Missione nell’imitazione di Gesù evangelizzatore dei poveri, come se la semplice imitazione di questo mandato di Gesù fosse la prima sorgente della spiritualità vincenziana, trascurando, per non dire oscurando, che dai testi vincenziani emerge, prima ancora dell’imitazione del ministero di Gesù, l’immedesimazione con l’evento della sua umanità; ovvero, secondo il linguaggio di san Vincenzo, il missionario deve rivestirsi di Cristo. E con tale espressione egli descrive la necessità della conformazione mistica all’umanità di Cristo, apprendendo cioè da Lui quali siano i “contorni” che la figura del missionario deve tentare di assumere. E’ da questa immedesimazione interiore con Cristo, vissuta in prima persona attraverso l’evento della grazia, che nasce, come in seconda battuta, lo zelo missionario per l’evangelizzazione dei poveri. Nella conformazione a Cristo sta la chiave di volta dell’architettura della via spirituale proposta da san Vincenzo. E precisamente, nel riprodurre in sé, per quanto possibile, l’umanità di Gesù quale principio dinamico dell’azione missionaria del prete della Missione. Ed ancora una volta sottolineiamo che è la mistica cristiana a guidare l’attività apostolica e caritativa secondo il pensiero di san Vincenzo.