Presento qualche notizia che mi pare interessante sulla novena di Natale. Ho ricavato le notizie da diversi articoli sul web non firmati ma molto precisi e curati sulla storia della novena e sulla storia dei Missionari della provincia di Torino.
La Novena del Natale fu eseguita per la prima volta in una casa di missionari vincenziani di Torino nel Natale del 1720, nella chiesa allora dedicata all’Immacolata Concezione, costruita dai missionari, che si trovava a fianco del Convitto Ecclesiastico diocesano che i missionari gestivano per la formazione del clero. Fra i missionari maggiormente stimati del Convitto vi era il padre Carlo Antonio Vacchetta (1665-1747), che era “maestro di sacre cerimonie e prefetto della chiesa e del canto”. Amico e frequentatore della casa dei missionari fu il beato Sebastiano Valfré (Verduno, 9.3. 1629- Torino, 30.1. 1710 dell’Oratorio). Entrambi avevano una particolare pietà verso l’umanità di Gesù e ne propagavano la devozione invitando i fedeli a contemplare e ad adorare il mistero dell’Incarnazione e della Natività di Cristo (Il beato Valfrè venne a Torino per laurearsi in filosofia e Teologia). È in questo ambiente particolarmente attento a vivere liturgicamente il Mistero di Gesù, Verbo Incarnato, che fu scritta e per la prima volta eseguita in canto la Novena di Natale. La tradizione attribuisce a padre Vacchetta la redazione dei testi e della musica. Grazie alle missioni popolari portate avanti dai vincenziani, la Novena fu diffusa in Piemonte, e da qui in tutta Italia.
I Missionari di San Vincenzo rimasero in questo incarico per molti anni, quando acquistarono l’ex monastero delle la Visitazione di via XX Settembre, poco distante, chiuso da Napoleone nel periodo della restaurazione, e divennero Rettori di questa Chiesa nel 1832. Essi dedicarono la cappella di destra al loro fondatore, San Vincenzo, e fecero riplasmare il Coro delle monache con la Cappella della Passione, con un altare progettato da Carlo Ceppi. Nel 1851 nella chiesa viene ordinato sacerdote san Leonardo Murialdo. Le attuali ottime condizioni del vano interno dell’aula sono frutto di un accurato restauro.
La diffusione della novena fu facilitata dal fascino del suo canto e dalla semplicità della melodia. A favorirne la devozione e la diffusione fu Gabriella Marolles delle Lanze, marchesa di Caluso. Questa, che aveva vissuto una giovinezza spensierata, e si era sposata prima con Carlo Agostino di Sale delle Lanze, e poi con il marchese di Saluzzo, rimasta vedova, e venuta ad abitare nei pressi della casa dei vincenziani di Torino, scelse come direttore spirituale il superiore, padre Domenico Amosso. Dopo aver dato scandalo per anni si dedicò alle opere di bene. Chiese di essere sepolta nella chiesa dell’Immacolata, in via Arsenale, in una tomba a terra, in mezzo ai banchi: Affinché tutti i fedeli che si accosteranno all’altare, possano calpestare una delle più grandi peccatrici pentite. E frequentando la chiesa dell’Immacolata restò particolarmente commossa dalle funzioni di preparazione al Natale, per cui stabilì nelle sue disposizione testamentarie che si facesse ogni anno et in perpetuo la suddetta Novena.
Le profezie della nascita di Gesù furono tratte da brani dell’Antico Testamento e particolarmente dal profeta Isaia. In esse è espresso non solo il profondo desiderio messianico dell’Antico Testamento con il desiderio che Dio si faccia presente sulla terra, ma in maniera espressiva viene cantata la supplica per la venuta di Gesù, l’eterno Presente nella storia degli uomini. Varie sono le metafore che alimentano la gioia dell’attesa nella Novena: Gesù verrà come luce, come pace, come rugiada, come dolcezza, come novità, come Re potente, come dominatore universale, come bambino, come Signore giusto. La Novena vuole suscitare un atteggiamento nel credente: fermarsi in preghiera e adorazione per invocare la sua venuta di salvezza. La novena di Natale, pur non essendo “preghiera ufficiale” della Chiesa, costituisce un momento molto significativo nella vita delle nostre comunità parrocchiali. La sua diffusione e penetrazione in tutto il nostro territorio fu dovuta in particolare alla grande capacità dei Missionari, che durante le missioni facevano un grande apostolato di conversione e introducevano la Novena nel periodo indicato. Questa novena si acquistò un indiscusso “primato” nella sua forma originale, per la notissima melodia gregoriana nata sul testo latino, ma diffusa anche nella versione italiana curata dai monaci benedettini di Subiaco.
A complemento aggiungo un piccolo squarcio sulla Provincia dei Missionari di Torino per inquadrare meglio non solo la novena di cui parliamo, ma la storia stessa della provincia.
La presenza dei Preti della Missione a Torino risale al 1655. Allora il Piemonte apparteneva al ducato dei Savoia, ed in questo ducato, nella parte che allora si trovava al di là delle Alpi, i missionari di san Vincenzo erano già arrivati fin dal 1639. La preoccupazione di san Vincenzo era di collegare la sua comunità con il centro della cristianità, per cui aveva persino pensato di trasferirvi la casa generalizia. Se accantonò il progetto fu per difficoltà esterne.
I missionari ebbero presto una rapida diffusione e dappertutto apprezzamento da vescovi e sacerdoti. La venuta a Torino dei missionari cade nello stesso anno (1655) del grave episodio di repressione contro i valdesi, passato alla storia sotto il nome di Pasque Piemontesi. I protestanti valdesi, che risiedevano soprattutto nelle valli ad ovest di Torino erano in quel periodo collegati con il mondo riformato del Nord e ricevevano denaro ed aiuti. Non bastavano i problemi con i Valdesi, perché dilagò la guerra civile, chiamata Fronda Piemontese, propagandosi a tutti i livelli della società dividendola per molto tempo in due partiti, i filofrancesi (o Madamisti) e i filospagnoli (o Principisti).
Dopo non poche peripezie, diversi cambi di residenza i missionari giunsero a Torino il 10 novembre 1655 col P. Martin come superiore. Qualche giorno prima, il 22 ottobre, san Vincenzo aveva esultato perché finalmente era arrivato il breve papale che approvava i voti della Congregazione. Ma la prima vera residenza stabile si ebbe con elargizione di mille scudi del Duca Emmanuele I, e con la costruzione di una nuova Chiesa, dedicata all’Immacolata Concezione per la quale l’Arcivescovo di Torino pose la prima pietra nel 1673. Terminata nel 1695, con l’apporto di molti nobili benefattori, specie della marchesa Caluso Gabriella Mesmes di Marolles, si potè allargare la casa per rispondere alle richieste del clero.
“La casa dei missionari si presentava assai grande e capace. Oltre i saloni ed altri vani aveva 160 stanze da letto, ed oltre i convittori riceveva gran numero di esercitanti (almeno un centinaio contemporaneamente) ed aveva un vasto giardino”.
Questa casa divenne un punto di riferimento per il clero grazie soprattutto a padre Antonio Vacchetta (1665 -1747), che collaborando con altri ecclesiastici torinesi svolse un’importante azione per la formazione del clero. Fra questi sono da ricordare l’arcivescovo Michele Antonio Vibò (1690-1713) e il beato Sebastiano Valfré degli Oratoriani (1629-1710). Nel Convitto della Missione i candidati al sacerdozio e i sacerdoti già ordinati venivano istruiti soprattutto nella Teologia Morale, nelle Sacre Cerimonie, nel canto, sui doveri del proprio stato, in modo da essere pastoralmente preparati. Vi partecipavano i chierici che non potevano o non volevano chiudersi nel seminario diocesano. Vi si tenevano anche corsi di Esercizi Spirituali, sia per il clero, sia per i laici.
I missionari stettero in questa celebre chiesa fino al 1776, dopo fu loro assegnata la chiesa dei Santi Martiri, lasciata dai Gesuiti dopo la soppressione. Così iniziava una nuova peripezia che conobbe anche la soppressione della Congregazione in Torino, ma ristabilita nel 1821.
Finalmente, nel 1830, i missionari riuscirono ad acquistare l’ex-monastero della Visitazione. Come i missionari vi arrivarono è raccontato così dal nostro manoscritto: Accadde che il signor Le Clerc, il quale in società con altri aveva grossa fabbrica di panni nel monastero della Visitazione, che era già stato delle Visitandine, ma da esse comprato e malconcio per adattarlo ai suoi disegni, contrasse grosso debito con il governo, e non trovandosi in attuale possibilità di soddisfarvi, esibì porzione di detta casa. Lo seppero i nostri e padre Lucio Isidoro a nome dell’infermo padre Giordana fece istanza perché a noi fosse data questa porzione di casa dal Le Clerc offerta al governo, esibendosi a rilasciargli in contraccambio la porzione che aveasi della casa attigua a Santa Cristina. Il progetto fu accettato e così il dì della SS. Trinità del 1830 entrarono i nostri in questa casa della Visitazione. Siccome essa fu stimata di un valore di 30 mila franchi meno della casa rilasciata, ricevettero questa somma in contanti. Avuta la casa, i missionari rimasero però senza Chiesa, che fu ceduta loro soltanto due anni dopo nel 1832.
Attorno a padre Giordana si riaggregò un gruppetto di confratelli: Lucio, Prato, Craveri, Ormezzano. In casa Costa rimasero quattro anni, finché si trasferirono in casa Mazzetti, prospiciente la piazza San Carlo, da dove officiavano sempre Santa Cristina. Vi rimasero fino al 1830, anno in cui padre Giordana morì, mentre predicava gli esercizi alle suore di Rivarolo. Il suo corpo, inumato nel sepolcreto sotto la chiesa di San Michele, fu trovato incorrotto nel 1880. Rimase scoperto per oltre 10 anni e finalmente racchiuso in una nuova cassa fu murato nella cripta. In quello stesso anno, il 1830, i missionari riuscirono ad acquistare l’ex-monastero della Visitazione.
Il progetto fu accettato e così il dì della SS. Trinità del 1830 entrarono i nostri in questa casa della Visitazione. Siccome essa fu stimata di un valore di 30 mila franchi meno della casa rilasciata, ricevettero questa somma in contanti. Avuta la casa, i missionari rimasero però senza Chiesa, che fu ceduta loro soltanto due anni dopo nel 1832. Questo trattato per l’acquisto della casa fu concluso col governo senza l’intervento dell’arcivescovo per inavvertenza di padre Giordana. Poco perciò soddisfatto de’ nostri, l’arcivescovo porse benigno orecchio alla petizione di alcune dame che chiedeano non fosse l’annessa chiesetta tolta di mano all’attuale sacerdote secolare che l’ufficiava. Quindi ci trovammo senza chiesa. A patrocinare la cessione della chiesa senza alcun onere fu, nel 1832, il card. Morozzo, vescovo di Novara. Nel frattempo, morto padre Giordana, era diventato superiore della Casa di Torino il giovanissimo padre Marcantonio Durando, a cui sono legate le vicende della casa e della Provincia di Torino per un quarantennio. La storia di questo secolo vide la Casa della Missione in grande sviluppo, soprattutto per l’opera del P. Durando, il grande sviluppo delle Figlie della Carità, la fondazione delle Nazarene, delle associazioni di Carità, delle Missioni in Cina e in Madagascar.
Autore: p. Italo Zedde, C.M.