Ogni santo nella storia della Chiesa ha la sua originalità, che ne costituisce la genialità. Avvicinarsi quest’aspetto permette di penetrare nella sua anima. Essa però è così intima che gli aspetti che se ne possono cogliere sono interpretazioni per forza di cose parziali, la cui fedeltà è proporzionale al tentativo di lasciare che i testi scritti parlino da sé e rivelino l’essenza che li muove. In questo movimento di interpretazione si è facilitati, poiché i testi delle conferenze non sono nati come scrittura, ma come trascrizione di parola parlata. Essi rivelano l’immediatezza del “dire”, che sgorga dall’insieme delle circostanze e dalla necessità di stabilire un rapporto con gli ascoltatori, più che da una preoccupazione di esprimere una forma compiuta e precisa del pensiero. Gli scritti delle Conferenze ai Preti della Missione, qui tradotti, infatti sono l’eco delle parole di san Vincenzo raccolte dai suoi segretari, i quali, soprattutto negli ultimi anni della vita, hanno sentito il bisogno di non lasciar cadere nella dimenticanza i suoi insegnamenti pronunciati nelle istruzioni che egli teneva alla comunità. Essi si preoccuparono non solo di raccogliere materialmente le parole, ma di lasciar trasparire anche il clima spirituale che egli riusciva a creare con i toni della voce, con la mimica del viso e degli occhi particolarmente vivaci, con l’interrogare or questo or quel confratello per avere conferma del suo pensiero oppure con il coinvolgersi nelle colpe della comunità o dei singoli fino a sentirsene il primo responsabile. In tal modo la conferenza era di un genere particolare. Né lezione, né istruzione di vita, né raccomandazione morale. Ma piuttosto interpretazione della vita concreta del missionario alla luce del desiderio di portare i Preti della Missione a esperimentare la communio fraternitatis che avrebbe loro permesso di essere fedeli alla vocazione ricevuta. Questi testi appartengono al genere dell’esortazione familiare; e ciò nasceva spontaneamente dal particolare temperamento di san Vincenzo, che era caldo e affettivo, realista ed ironico, e persino con la tendenza “all’umor nero”, come egli stesso riconosceva senza reticenze. Tale sensibilità lo portava facilmente ad amalgamarsi con le persone più diverse e a relazionarsi con loro. Racconta: I settentrionali sono molto meno soggetti a lasciarsi trasportare dalla passione, dalla collera, mentre coloro che sono originari del sud e delle regioni più calde, lo sono maggiormente. E san Vincenzo era originario del sud della Francia. Più precisamente era guascone. E la Gascogne è una regione che ha come caratteristica dei suoi abitanti di essere un po’ esagerati nel parlare e portati alla battuta salace ed ironica, al punto che è stata coniata l’espressione gasconnade, per indicare l’esagerazione nella parola. Se la tonalità interiore del suo animo era l’affettività, san Vincenzo sapeva anche di essere sottoposto al rischio di cadere negli estremi o dell’esaltazione dell’ideale o dello scoraggiamento. Perciò, il suo senso della realtà e del pratico lo faceva stare al polo opposto del sognatore. Anche nella vita spirituale non amava le posizioni idealistiche. Riteneva che l’animo umano ha bisogno di stare nell’equilibrio del dominio delle passioni, per cui raccomandava di evitare le esagerazioni anche nell’amor di Dio: Si vuole salire, d’un sol passo, ad un grado eminente di virtù; e non conoscendo la debolezza della nostra natura e della nostra umanità, si pretende più di quanto possano le nostre forze e, di conseguenza, la povera natura, oppressa e torturata, geme e grida costringendoci a cedere. Dobbiamo stare al passo con le esigenze della natura, poiché Dio ci ha assoggettati ad essa; e perciò dobbiamo adattarci ai suoi limiti. E’ volere di Dio. Egli è tanto buono e giusto che non esige di più. Le nostre miserie le conosce abbastanza, ne ha compassione e, per sua misericordia, supplisce ai nostri difetti. Bisogna trattare con Lui molto alla buona, senza darci tanta pena. La sua bontà, la sua misericordia suppliranno a quello che ci manca. E’ da questo animo sensibile e realista di san Vincenzo che sono nate le Conferenze. Ascoltarlo parlare generava in chi l’ascoltava una mozione interiore ed una attrattiva che rendeva “estasiati e contenti”, come un confratello della prima ora, dopo aver partecipato ad una conferenza, racconta ad un altro che era assente: Non posso esprimerle con quale effusione, con quale abbondanza dello spirito di Dio [san Vincenzo] parlasse, con qual fuoco, con qual forza. Posso soltanto dirle che il mio cuore era pieno di gioia, tutto contento. … Se il mio cuore tanto insensibile ne fu intenerito, le lascio immaginare come sia stato quello di tutti gli altri della Compagnia! Lo giudichi lei. Anche i nostri buoni fratelli coadiutori, ai quali questo discorso sembrava non rivolgersi direttamente, ne erano tutti estasiati. Era la mozione propria del carisma che agiva in loro attraverso di lui. Ed il suo modo di parlare ne era il veicolo.