La dolcezza è l’essenza, l’espressione più perfetta della carità.
In essa è compresa la bontà di cuore, la mansuetudine, l’affabilità, la cortesia, la benignità, la pazienza e la fortezza più virile nel vincere i disordinati moti della collera e della irascibilità. La dolcezza orna di grazia amabilissima, semplice e modesta, dà ai gesti un’aria di cordialità,
Abbiamo un gran bisogno di dolcezza nelle nostre opere verso i poveri, i malati, i fanciulli.
La dolcezza è un obbligo della nostra vocazione.
E’ una virtù che reprime o regola i movimenti della collera, perché qualche volta la collera è santa e allora bisogna ben regolarne i movimenti.
Potete adirarvi, ma a condizione che non pecchiate.
Le persone dolci sono amate: piace conversare con loro, si cercano e si lasciano con dispiacere. La loro presenza porta la pace, mantiene la concordia.
Al contrario le persone colleriche stancano tutti: avranno grandi virtù e grande scienza, ma non fanno alcun bene, guastano tutto e si rendono insopportabili.
Quanti atti di virtù, di sacrificio sono resi inutili per mancanza di dolcezza!
San Vincenzo, con la dolcezza, ha sempre ottenuto ciò che desiderava. In mezzo a mille affari accoglieva tutti con bontà senza lasciar trasparire né impazienza, né noia.
Se gli sfuggiva un leggero movimento di contrarietà, lo reprimeva subito e non esitava a chiedere scusa anche ad un fratello, che temeva d’ aver disgustato.
Quando doveva fare una correzione, la faceva con tanta bontà che veniva ricevuta senza amarezza.
La ragione stessa ci consiglia la dolcezza.
Nessuno più di noi ha bisogno di dolcezza, perché dobbiamo trattare continuamente con ignoranti, persone senza educazione, talvolta viziose, con fanciulli poco docili, che ci resistono. Se li trattiamo con rigore, se faremo rimproveri umilianti, noi li irriteremo.
Alcuni caratteri fingeranno di cedere alle nostre minacce, ma nasconderanno in cuore, odio, vendetta, rancore.
Al contrario, la pazienza, il sopporto, la dolcezza, sono i mezzi migliori di calmare la collera, di guadagnare i cuori e condurli a Dio.
Scritti, QXVIII