I testi delle Conferenze, pur in questa vivacità di parola ora descritta, appartengono tuttavia ad un altro contesto rispetto al nostro, per cui a prima vista possono apparire antiquati. Rileggerli soltanto alla luce del passato, significherebbe ridursi ad un’operazione di tipo archeologico con il risultato dell’oscuramento del loro pregio. Essi pertanto necessitano di essere ascoltati con un’interpretazione attualizzante che sappia ricucire la differenza culturale mediante alcuni criteri di metodo nella loro lettura. Il primo criterio è di accogliere questi testi come un’eredità spirituale che ha bisogno di essere recepita nel suo principio ispiratore. Tale principio è semplice. San Vincenzo nel parlare ai confratelli intendeva riprodurre lo stesso clima della prima comunità apostolica. E pertanto il principio ermeneutico di fondo è che le sue parole possono essere capite se vengono colte come rimando a quel primo e singolare evento fondatore che fu lo stare insieme dei discepoli con Gesù. Con questo primo criterio, che possiamo chiamare cristologico, le parole di san Vincenzo, pur nella differenza di linguaggio, rimandano alla sempre nuova esperienza di seguire il Signore. Ed in tal modo esse conservano intatta la loro attualità. Un secondo criterio di lettura è la comprensione di questi testi alla luce della comunità cui sono indirizzati. Essi sono nati in ordine alla formazione spirituale e comunitaria dei Preti della Missione, che, all’interno della dinamica ecclesiale, san Vincenzo concepiva come persone unite in fraternità e dedite all’evangelizzazione dei poveri nella carità. Aveva riassunto lo spirito della loro personalità nelle virtù della semplicità, dell’umiltà, della mansuetudine, della mortificazione e dello zelo. Con queste virtù intendeva forgiare un tipo di persona che rispecchiasse le caratteristiche del discepolo che egli aveva contemplato nel Vangelo: capace di adesione alla volontà di Dio e pienamente relazionato con i fratelli più poveri. Pertanto questi testi di san Vincenzo esprimono una via educativa particolare nell’orientamento più generale del cammino cristiano: documentano l’elaborazione di alcune tracce concrete per un’esperienza di fraternità comunionale in Cristo e tra fratelli. Senza questo criterio “comunionale”, che costituisce una delle dinamiche più pressanti nel pensiero di san Vincenzo, le Conferenze sarebbero private del loro contesto prossimo e concreto. Un terzo criterio ermeneutica, quello più profondo ed intimo, è di situarsi, nel leggere questi testi, nel contesto del linguaggio dell’amore. A questo linguaggio san Vincenzo si è convertito un poco alla volta ed anche con una certa diffidenza. Egli era cresciuto in un tempo dominato dalla precisione razionale e dalla preoccupazione del metodo nelle scienze per dominare la realtà (si pensi al suo contemporaneo Cartesio). Lui stesso, san Vincenzo, fu un abile organizzatore, che non lasciava nulla al caso. Le sue iniziative di carità avevano come criterio una buona organizzazione ed ottennero il plauso della società. Non dava origine ad una nuova fondazione se non poteva assicurarle un capitale che la sostenesse. La comunità dei Preti della Missione la voleva saldamente ancorata ad una metodica contrassegnata dall’uniformità di comportamento ed imperniata su regole chiare e precise, senza la cui osservanza egli riteneva che sarebbe crollata. Eppure tutto ciò non esauriva la sua esperienza umana, la cui radice era interiore e spirituale. E si può dire che proprio questa radice divenne, col procedere della sua esperienza, sempre più manifesta, fino ad esteriorizzarsi nel tono generale dei testi delle conferenze che è soprattutto affettivo. Qui egli lascia prevalere la fede e l’abbandono delle sue sicurezze, per consegnarsi alla conduzione della grazia. Così lo scopo dei testi delle Conferenze non è l’aumento delle conoscenze, ma è propriamente di portare “il cuore” ad agire nell’amore di carità e nello zelo dell’evangelizzazione. San Vincenzo non esprime tanto pensieri di ordine intellettuale, ma piuttosto pensieri nell’ordine del cuore – come ha giustamente sottolineato A. Dodin. Alla loro base vi è il linguaggio della grazia, in cui non domina la preoccupazione moralistica, né l’intendimento di un insegnamento oggettivo, ma la sorpresa della gratuità dell’amore di Dio che ha suscitato in maniera imprevista la “piccola Compagnia della Missione” ed a cui consegue l’esortazione pressante ad esservi fedeli. Questi testi pertanto possono essere capiti utilizzando la grammatica e la sintassi dell’amore di carità e dello zelo apostolico. Insomma, l’assunzione critica del dislivello culturale scioglie la possibile barriera di incomprensione che un testo antico di quattrocento anni può innalzare nello spirito del lettore contemporaneo. Propriamente ciò che permette la fusione degli orizzonti è il fatto che il pensiero di san Vincenzo è ancorato al Vangelo. Si può dire che la sua genialità espressiva consiste precisamente in questo riferimento sistematico alla lettera del Vangelo. In fondo l’universalità dell’esperienza umana a cui il Vangelo rimanda azzera gran parte delle differenze e favorisce una comprensione sempre attuale dell’uomo e del suo destino. Nel tempo sono cambiati i modi, ma la struttura interiore della fede e della carità è rimasta la stessa. Il compito di una perenne reinterpretazione richiede anche oggi di riprendere in mano il Vangelo e riattualizzarlo come fece san Vincenzo nel ‘600: ovvero, coglierne l’anima al di sotto delle espressioni verbali e ritradurla nelle mutate condizioni del tempo. L’uomo ha bisogno di evangelizzazione: oggi più che mai. Le campagne, che tanto stavano a cuore a san Vincenzo, almeno nel mondo occidentale sono quasi sparite, poiché il mondo rurale dell’Ancien Régime si è dissolto. Ma sono nati altri mondi, altre solitudini, da evangelizzare. E le parole che ne esprimono il desiderio, al di là della forma letteraria, restano sempre attuali e provocanti, come queste: O Salvatore, o mio buon Salvatore, degnati per la tua divina Bontà, di liberare la Missione dallo spirito di indolenza e dalla ricerca dei propri comodi. Degnati di darle uno zelo ardente per la tua gloria, che le faccia abbracciare tutto con gioia, e mai trascurare un’occasione per servirti! Siamo destinati a questo. E un missionario, un autentico missionario, un uomo di Dio, un uomo che ha lo spirito di Dio, deve trovare tutto buono e indifferente. Abbraccia tutto, può tutto! A più forte ragione, una Compagnia, una Congregazione può tutto, se è animata e condotta dallo spirito di Dio.