Conferenze ai preti della Missione

Nell’immaginario ecclesiale la figura di san Vincenzo è legata alle sue opere di carità e di servizio verso i poveri. E l’intreccio è tale che la sua santità viene facilmente ricondotta in maniera privilegiata, se non esclusiva, all’impegno in favore dei poveri quasi che la sua figura si esaurisca nella funzione sociale della sua attività. Il rischio è tanto maggiore quanto eccezionalmente unica e da tutti riconosciuta è la sua ingegnosa operosità caritativa. Simile riduzione però non rende conto della parte più interiore e sacra del suo impegno; e, alla fine, anche l’originalità del suo operare verrebbe oscurato, come tentarono di fare i rivoluzionari francesi che, non potendo eliminare la sua persona dal Panthéon dei francesi illustri, lo ridussero a Le philantrope. In realtà la biografia di san Vincenzo, come di ogni santo, ha un sacrario nascosto che è come il braciere da cui si sprigionano il calore e la luce delle opere. Ed è precisamente a questo luogo interiore che le Conferenze ai Preti della Missione rimandano. Esse ci presentano l’anima mistica di san Vincenzo; e raccontano della santità quale radice della carità missionaria, cui i Preti della Missione devono tendere per essere efficaci nella predicazione e nel servizio dei poveri. In esse emerge la sua spiritualità, che non è prima di tutto “spiritualità dell’azione”, ma una mistica dell’unione con Dio e una contemplazione nella fede. Ciò risalta anche dal semplice sguardo statistico del contenuto delle Regole Comuni – di cui le Conferenze sono in gran parte il commento -: dei dodici capitoli che le compongono solo due sono dedicati al servizio, al rapporto con gli esterni e alla missione; tre capitoli riguardano la vita comune; e ben sette capitoli descrivono la vita spirituale. In estrema sintesi, san Vincenzo chiedeva ai missionari di “svuotarsi di se stessi” per lasciarsi riempire da Dio, in modo che Lui stesso, attraverso di loro, possa farsi presente ai poveri. I Preti della Missione si costituirono in società di vita apostolica nel 1625. Da allora fino alla morte di san Vincenzo, sopravvenuta il 27 settembre 1660, essi vissero il loro momento fondativo, che culminò nel 1658 con la stampa e la consegna delle Regole ai singoli confratelli in un momento assembleare carico di profonda commozione. Egli considerò le regole, chiamate “comuni”, non un suo insegnamento personale, ma il frutto di un’esperienza comunitaria vissuta nella sequela delle massime evangeliche di Nostro Signore. Le Conferenze ai Preti della Missione narrano, di fatto, la storia spirituale che questo primo gruppo di sacerdoti e fratelli missionari hanno vissuto con il loro fondatore; meglio, esprimono la loro fatica di sequela all’azione dello Spirito nella mediazione di lui, che fu per loro maestro di spirito e padre nella fede e nella carità. Tale narrazione, nella sua parte maggiore, arriva a noi nel suo punto culminante, quando ormai la Congregazione si è consolidata ed ha un bagaglio di storia e di spiritualità che, appunto, è condensato nelle Regole Comuni. E precisamente tutto il volume XII delle Conferenze nell’edizione di Pierre Coste (seconda parte del testo che presentiamo) è il commento fatto da San Vincenzo a queste Regole Comuni iniziato il 17 maggio 1658, quando aveva già l’età di 78 anni. Tenuto poi conto che la prima parte del volume (il vol. XI dell’edizione del Coste) raccoglie in gran parte brani tratti dall’Abelly, si deve constatare che siamo di fronte ad un insegnamento assai limitato nel tempo, riferito agli ultimi due anni di vita di San Vincenzo. E tuttavia, se si raffronta questo “ultimo” insegnamento con quello che è raccolto negli otto volumi del suo lungo epistolario, ove i suoi pensieri sono distesi in termini diacronici, si osserva come San Vincenzo, nonostante l’età, abbia conservato la freschezza ed il sapore di una grande giovinezza dello spirito, di cui il seguente testo è un esempio: Quanto a me, nonostante la mia età, davanti a Dio non mi sento scusato dall’obbligo che ho di lavorare per la salvezza dei poveri. Chi potrebbe impedirmelo? Se non potessi predicare tutti i giorni, lo farei due volte alla settimana; se non potessi salire sui grandi pulpiti, cercherei di predicare ai piccoli; e se anche non potessi essere ascoltato da questi piccoli, chi m’impedirebbe di parlare alla buona e familiarmente al buon popolo, come vi parlo ora, facendolo avvicinare in circolo come siete voi? Questo parlare familiare, alla buona, di fatto è la caratteristica delle Conferenze. Esso è tanto più caratteristico quanto più all’epoca era inusuale nel mondo ecclesiastico servirsi di un linguaggio piano e semplice. Ma San Vincenzo difese questo modo di parlare fino alla fine, riconoscendo ad esso una particolarità carismatica della Congregazione.