Giuseppina Nicòli, nasce a Casatisma (Pavia) il 18 novembre 1863, quinta di dieci figli. La sua è una famiglia agiata. La dote naturale che più le si addice è la dolcezza. Nella sua adolescenza è presto colpita dalla morte di suo fratello, più grande di lei di un anno. Il dolore, ponendola intimamente a contatto con la provvisorietà e la precarietà della vita, l’avvicina al Crocifisso e fa crescere in lei il desiderio di consacrarsi a Dio. Il padre spirituale le indica, con molta discrezione, il Carisma di San Vincenzo de’ Paoli, se ne sente attratta e chiede di entrare tra le Figlie della Carità.
I superiori la inviano in Sardegna, arriva a Cagliari il primo gennaio 1885, ha appena compiuto 21 anni; al Conservatorio della Provvidenza, sua prima casa, l’accolgono a braccia aperte. Si distingue per il particolare talento educativo che l’aiuta a sviluppare un vivo senso di gratuità missionaria; il suo “si” a Dio cresce e si sviluppa in un costante, pieno e totale abbandono alla Sua volontà. Eccelle nell’insegnamento; simpatizza con i ragazzini poveri del quartiere Castello per loro ottiene di aprire una scuola serale, la domenica li coinvolge al catechismo e li riunisce in associazione detta dei “Luigini”. All’età di 36 anni è nominata suor servente (superiora) all’Orfanotrofio di Sassari, qui, nonostante tutte le difficoltà che gli oppone un’amministrazione laica e diffidente, si fa molto amare e stimare. Con lei le scuole dell’Orfanotrofio si incrementano considerevolmente di nuove sezioni, apre le scuole di catechismo per bambini, adolescenti, giovani domestiche e una scuola di religione per le studentesse di classi signorili. Fonda e dirige l’Associazione delle Figlie di Maria, anima le Dame di Carità, introduce le Suore in carcere. La vita di preghiera e l’unione con di Dio è la fonte da cui sgorgano tutte le sue iniziative apostoliche.
Nel 1893 suor Giuseppina si ammala di tubercolosi. Nel 1910 diviene economa provinciale e poi Direttrice del Seminario (noviziato) a Torino; ma dopo soli nove mesi, per l’aggravarsi della malattia, è rimandata a Sassari, all’Orfanotrofio. Qui inizia il suo calvario interiore. Malintesi e false denigrazioni da parte dell’amministrazione costringono i superiori a trasferirla; è inviata a Cagliari, all’Asilo della Marina, vi arriva il 7 agosto 1914. Il Quartiere “Marina” si caratterizza per il sovraffollamento di famiglie povere assiepate in sottani e case fatiscenti. I nugoli di bambini che riempiono di schiamazzi e grida pimpanti le vie del quartiere non le danno pace finchè non trova per essi un modo per accoglierli e, gratuitamente, far loro scuola all’Asilo della Marina, benché lo scoppio della Prima Guerra Mondiale renda tutto più difficile. Con l’aiuto delle consorelle, in particolare di suor Teresa Tambelli, si adopera per creare spazi ricreativi e formativi per le ragazze che lavorano numerose nelle manifatture di tabacchi e per quelle che giungono in città per porsi a servizio presso famiglie benestanti. Insegna il catechismo, impartisce lezioni per imparare a leggere e a scrivere, le riunisce in associazione: le “Zitine”, le “Dorotee”, giovani consacrate al servizio della Carità, le Damine della Carità per la visita dei poveri a domicilio. Nel 1917, al Poetto apre la prima colonia marina, per bambini rachitici e scrofolosi.
Il nome di Suor Nicòli è più di tutti legato a “is Picioccus de Crobi” (i ragazzi della cesta), molto noti in città per il loro strumento di lavoro, “sa corbula” (la cesta), con la quale si guadagnano da vivere. Suor Nicòli avvicina questi ragazzi con la stessa delicatezza di una buona mamma. Li conquista, li ribattezza con il nome di “Marianelli” (monelli di Maria), fa loro scuola, li prepara a esercitare una professione, li istruisce nella fede, li restituisce alla vita sociale. L’ultimo anno della sua vita, il 1924, subisce una calunnia che la porterà sui giornali della città, Lei e le sue sorelle accettano “la prova” in amorevole silenzio, finché il Presidente dell’Amministrazione deve far marcia indietro e riconoscere l’errore. Sul letto di morte suor Giuseppina gli dispensa il perdono con un ampio sorriso. Lui s’inchina e bacia il lenzuolo di suor Nicòli morente che aveva calunniata.