Pertanto, il cammino spirituale del missionario consiste, nella sua sostanza, nel personalizzare la “forma di Cristo” come verità della propria umanità. Non siamo forse fortunati, fratelli, di riprodurre al naturale la vocazione di Gesù Cristo? Chi rappresenta il tenore di vita seguito da Gesù Cristo sulla terra, meglio dei missionari? Il riferimento a Cristo è imprescindibile per ogni coscienza credente, ma è richiesto in modo particolare dalla vocazione del missionario, poiché senza di esso la sua missione resterebbe svuotata dall’interno. Il rivestirsi di Cristo è principio di esistenza del missionario: Bisogna essere ricolmi e mossi dallo spirito di Gesù Cristo. Per ben capire ciò, bisogna sapere che il suo spirito è diffuso in tutti i cristiani che vivono cristianamente. Le loro azioni e le loro opere sono permeate dallo spirito di Dio, ed è grazie al suo spirito che ha suscitato la Compagnia, e voi lo vedete bene. Ed è secondo questo spirito che essa deve comportarsi. Essa di fatto ha amato sempre le massime cristiane ed ha desiderato rivestirsi dello spirito del Vangelo per vivere ed operare come Nostro Signore, affinché il suo spirito brilli in tutta la Compagnia ed in ciascun missionario, in tutte le sue opere in generale ed in ognuna in particolare. Il rapporto di intimità con Gesù si ottiene mediante l’orazione ed il trasformare tutte le circostanze concrete della vita in occasioni per aderire alla volontà del Padre, come fece Gesù nella sua vita terrena. Di qui l’insistenza di san Vincenzo per l’orazione: “Bisogna ragionare poco, e pregare molto, molto, molto”, diceva. L’atteggiamento spirituale, insegnato da san Vincenzo, è dunque quello di inerire a Lui al modo dei discepoli: “Metti in me, Signore, tutte le disposizioni che desideri siano nei tuoi discepoli”. Il richiamo ad essere riferiti a Cristo non è però, in prima istanza, uno sforzo per aderire o una conquista ascetica, è piuttosto un consegnare così intimamente la libertà a Lui nella grazia, che l’impossibile agli occhi umani è reso possibile. E ciò può avvenire perché la grazia realizza una sintonia di essere nell’amore tra il credente e il Verbo Incarnato: Il Dio infinito, creandoci con la predisposizione ad avere da noi la gradita occupazione di amarlo ed offrirgli tale onorevole tributo, volle mettere in noi il germe dell’amore, ossia la somiglianza, affinché non diciamo, a nostra scusa, di non averne la possibilità. Questo amante dei nostri cuori, vedendo che, disgraziatamente, il peccato aveva guastato e oscurato tale somiglianza, infranse tutte le leggi della natura per riparare il danno, con il vantaggio ancor più meraviglioso che non si è accontentato di mettere in noi la somiglianza e il carattere della sua divinità, ma, con l’intento che lo amassimo, volle persino farsi simile a noi e rivestirsi della nostra stessa umanità. Per essere più precisi, nell’impianto spirituale vincenziano, il rapporto con il Signore non è da intendersi in modo dualistico o estrinseco, come si trattasse di unire estranei che mantengono la loro autonomia. Il rapporto è da comprendersi piuttosto come compenetrazione di Gesù con il missionario così che il desiderio dell’uno sia il desiderio dell’altro, in quanto il caposaldo del carisma vincenziano è l’amore di carità. Diceva: E’ proprio dell’amore realizzare una compenetrazione del cuore degli uni nel cuore degli altri e sentire quello che essi sentono. Ciascuno si proporrà di scegliere, con san Paolo, l’indigenza, il disonore, le torture e perfino la morte piuttosto che essere separato dalla carità di Cristo. Perciò non si angustierà per i beni terreni; anzi affiderà al Signore le sue preoccupazioni, convinto che fin quando sarà radicato in questa carità e fondato sopra questa speranza, rimarrà sempre sotto la protezione del Dio del cielo; e così non gli accadrà alcun male e non rimarrà privo di alcun bene, anche se gli sembrasse che tutto stesse per andare in rovina. E’ l’amore che salda in unità i diversi, ed è in questa prospettiva che è da intendersi l’unione del missionario con Gesù Cristo. Avviene cioè un’unità a livello della coscienza credente, per cui l’incontro con Gesù plasma la consapevolezza che alimenta la personalità del missionario. In tal senso occorre essere attenti a non leggere in chiave moralistica l’insegnamento di san Vincenzo quando insiste sulla pratica delle virtù. Tale pratica, su cui san Vincenzo insiste per l’inclinazione concreta del suo insegnamento, va intesa come espressione dell’amore, non come la preoccupazione di un dovere da assolvere. Infatti, per lui la vita spirituale del missionario, che è chiamata a riprodurre il prototipo dell’unità di Gesù con il Padre, è data dall’azione unificante dello Spirito Santo, diffuso nei cuori:Quando si dice: Lo spirito di Nostro Signore è nella tal persona, nella tale azione, che cosa s’intende? Si vuol dire che lo Spirito Santo stesso è diffuso in esse? Sì, lo Spirito Santo, in persona, si diffonde nei giusti e dimora in essi mediante una relazione personale (cf Rom 5, 5; 8, 11). Quando si dice che lo Spirito Santo opera in qualcuno, significa che lo Spirito, risiedendo in questa persona, le conferisce le medesime inclinazioni e disposizioni che Gesù Cristo aveva sulla terra, di modo che egli opera nello stesso modo, non dico con uguale perfezione, ma secondo la misura dei doni dello Spirito Santo. Un medesima dinamica di carità, la stessa che unisce il Figlio nell’amore al Padre, raggiunge dunque il missionario; il quale, quando accetta di consegnarsi nella libertà all’amore soprannaturale, agisce in forza di quell’amore. Il movimento dell’amore di Dio non solo non si svolge come contiguità tra estranei, ma non è neanche un semplice moto di andata e ritorno all’interno di un relazione chiusa. Nell’Incarnazione di Gesù l’amore che il Figlio vive all’interno del mistero trinitario si travasa nel mondo delle anime; e, a sua volta, il missionario è chiamato ad espanderlo tra la gente. Lo stato della Missione è uno stato d’amore, non solo perché mira a seguire la dottrina e i consigli di Gesù Cristo, ma anche perché fa professione di portare il mondo alla stima e all’amore di Nostro Signore. Quali vantaggi ne derivano. Se amiamo Nostro Signore, saremo amati dal Padre suo, il che equivale a dire che il Padre ci vorrà bene, e questo in due modi: il primo, che si compiacerà di noi come un padre del proprio figlio; il secondo, che ci darà i suoi doni soprannaturali, quelli della fede, della speranza, della carità mediante l’effusione del suo Santo Spirito che abiterà nelle nostre anime, … operando in noi le meraviglie che (gli apostoli) hanno compiuto. Il secondo vantaggio di amare Nostro Signore consiste nella comunicazione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo alle anime che lo amano; questo avviene attraverso l’illuminazione dei nostri pensieri; mediante moti interiori che le persone divine suscitano in noi comunicandoci il loro amore con ispirazioni, con i sacramenti, ecc. Il missionario con il suo amore, acceso dalla carità divina, diventa colui che è chiamato a fare da tramite, affinché nessuno sia escluso dal flusso di carità che discende da Dio Trinità d’amore.