L’umanità di Cristo, regola della Missione

Alla base di questo triplice orizzonte interpretativo sta, come parametro di riferimento, la vita umana di Gesù Cristo, il Verbo di Dio che, nell’Incarnazione, ha assunto la nostra umanità per attrarla nell’amore trinitario. Questo tema è caratteristico del movimento di riforma che ruotava intorno al card. de Bérulle e che è passato alla storia con la denominazione di “scuola francese” o “milieu dé-vot”. Di esso san Vincenzo ha assorbito la dinamica spirituale e la tensione riformistica, ma da esso si è differenziato interpretandone lo spirito in senso maggiormente pratico e operativo, come risalta da un testo assai conosciuto: Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre braccia e con il sudore della nostra fronte. Molto spesso, tanti atti di amor di Dio, di compiacenza, di benevolenza e altri simili affetti o atti interiori di un cuore sensibile, sebbene molto buoni ed anche da desiderare, sono non di meno molto sospetti, quando non portino alla pratica dell’amore effettivo. In questo, dice Nostro Signore, è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto. Dobbiamo guardarcene bene, perché molti, per avere un buon contegno esterno ed essere intimamente pieni di grandi sentimenti di Dio, si fermano a ciò; e quando si deve passare ai fatti e si presenta l’occasione di dover agire vengono meno. Si lusingano con la loro immaginazione infervorata; si accontentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio nell’orazione, ne parlano, anzi, come angeli; ma, usciti di lì, se si tratta di lavorare per Iddio, di soffrire, di mortificarsi, d’istruire i poveri, di andare a cercare la pecorella smarrita, di essere lieti se manca loro qualcosa, di accettare le malattie o qualche altra disgrazia, ahimé, tutto svanisce, manca loro il coraggio. No, no, non lasciamoci ingannare: Totum opus nostrum in operatione consistit. Gran parte dell’originalità del pensiero di san Vincenzo rispetto al milieu dé- vot è dovuta al suo carattere indipendente ed al suo spirito contadino. Egli amava il concreto e sapeva trarre dall’esperienza della sua personale storia i giudizi sulla vita ed i criteri d’azione. E di fatto tutte le sue iniziative nascono da esperienze. Le esperienze pastorali a Clichy, nelle terre dei Gondi, a Châtillon, l’incontro con i poveri che morivano di fame per la mancanza del pane e della Parola di Dio, sono state il nucleo esperienziale da cui trarrà tutta la sua opera. L’elaborazione personale di questo materiale di esperienza ha tuttavia alcuni debiti particolari, di cui il primo è all’amicizia spirituale goduta con san Francesco di Sales, che san Vincenzo aveva intuito essere profondamente sintonizzato con la parte più autentica di se stesso. Da lui apprese l’orientamento mite ed umile, ma appassionato, nell’apostolato verso i lontani e coloro che avevano abbandonato la fede. Non meno importante, anche se qui non può essere affermato che in termini generici, è il contributo che egli ha ricevuto dall’insieme del mondo femminile. Da esso egli ha tratto la tenacia nell’impegno caritativo e la delicatezza del tratto. Al riguardo si può rimandare, a modo di esempio, a madame de Gondi, senza della quale probabilmente la Missione non sarebbe nata; o alla duchessa D’Aiguillon, a cui si deve l’ispirazione di tante opere di carità; o a santa Francesca de Chantal, di cui sentiva il fascino della fortezza nelle prove della vita. Ma soprattutto non va dimenticato, anche se misconosciuto da molta bibliografia, il singolare apporto di Luisa de Marillac nell’avventura della carità, in particolare su quel versante della profondità interiore e mistica in relazione allo Spirito Santo, che santa Luisa gli comunicò. Tutti questi influssi hanno avuto un punto di unificazione nella contemplazione del mistero dell’umanità di Cristo. Esso fu il modello autentico della spiritualità che san Vincenzo indicò alla piccola Compagnia della Missione. Su di lui, “il vero modello ed il grande quadro invisibile”, e non su altro, le Conferenze hanno inteso modellare la personalità del missionario. Infatti l’intenzionalità profonda del testo programmatico della Compagnia della Missione, ossia delle Regole Comuni, è la riattualizzazione del modo di vivere e di operare di Gesù con i suoi apostoli raccontato nel Vangelo. E’ proprio di questa “libertà nello spirito” nel leggere il Vangelo senza eccessivi filtri di interpretazione, che si sono nutriti i santi per realizzare cambiamenti epocali nella storia della Chiesa. E così è stato anche per san Vincenzo. Egli non ha scritto alcun trattato di vita spirituale per i suoi missionari. Ha accompagnato piuttosto con un grande numero di lettere i passi della Missione nascente, seguendo, si può dire, missionario per missionario, nelle sue attività e difficoltà dell’opera missionaria, lasciandoci un monumento letterario di grande interesse negli otto volumi di lettere, raccolte da Pierre Coste. Nel leggerle non si trova un qualche sistema spirituale; in esse piuttosto risalta – esattamente come nelle Conferenze una concentrazione cristologica, nel senso che da tutte le pagine dei suoi scritti traspare come un unico principio ispiratore: seguire Cristo evangelizzatore dei poveri ed amante della loro povertà. In essi si scopre una ripresa appassionata del Vangelo, reso nuovo dalla grazia, sicché san Vincenzo può affermare che “regola della Missione è Gesù Cristo”. Gesù con i suoi apostoli doveva essere il paradigma per il gruppo di preti che si erano riuniti attorno a san Vincenzo. Non dunque un cammino spirituale dettagliato come Gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio o Il Castello interiore di santa Teresa, ma semplicemente la ritraduzione nel presente dell’esperienza evangelica vissuta dagli apostoli. Se poi san Vincenzo si è anche appoggiato alla dottrina spirituale comunemente espressa dai vari maestri spirituali del suo tempo, lo ha fatto con molta libertà, prendendo lo spunto da loro più che ripetendone la dottrina, come ha osservato acutamente H. Brémond: “I mistici parigini lo hanno più stimolato che formato; lo hanno aiutato a scoprire se stesso, a prendere consapevolezza della propria dottrina e della propria vocazione”.