Evoluzione storico-giuridico della vita consacrata

Un brevissimo cenno ai documenti della Chiesa delle origini ci permette di comprendere la sorprendente novità apportata da Vincenzo de’ Paoli nella vita consacrata femminile del suo tempo. Nelle prime comunità cristiane vi erano le diaconesse: vedove di integra virtù, o vergini o sposate, alle quali venivano affidati compiti liturgici e caritativi; ad esse si conferiva una speciale benedizione per assicurare una maggiore grazia e per dare più importanza al loro ufficio. Accanto alle diaconesse e distinte da esse, negli Atti degli Apostoli, troviamo un fuggevole cenno all’ascetismo domestico; si tratta della piccola comunità di quattro sorelle, figlie del diacono Filippo, dotate dei carismi della verginità e della profezia. Questa forma di ascetismo domestico proseguirà anche oltre l’età apostolica: diversi Padri della Chiesa ne tesseranno l’elogio e scriveranno numerosi trattati. A queste vergini ascete, che vivevano in famiglia, si suggeriva un ritmo di vita quasi monastico: silenzio, meditazione delle Sacre Scritture, preghiera dei salmi ed anche un impegno missionario caritativo.

Alla fine del III secolo, la decadenza spirituale delle comunità cristiane portò gli asceti a trasferirsi nel deserto, dando vita al monachesimo, nelle diverse forme di eremitismo, anacoretismo, cenobitismo. In oriente i fondatori furono: sant’Antonio abate e san Basilio; in occidente: san Benedetto. Nei secoli IV e V, alcune vergini per amore della solitudine, ma anche per difendersi dai gravissimi pericoli della società romana corrotta, abbandonarono le loro case per ritirarsi nel deserto, vivendo o isolate, come Maria Egiziaca, o formando veri cenobi. Andarono così diminuendo quelle che vivevano in casa propria o in una vita in comune, finché scomparvero del tutto; anzi, in seguito furono proibite dal Concilio di Cartagine. Si venne delineando il tipo di monaca, dedita alla vita contemplativa, sotto una rigida e regolare disciplina, che fu introdotta da san Cesario di Arles (470-543) nella Regola da lui scritta per il monastero femminile fondato da sua sorella Cesaria; finché con Bonifacio VIII si ebbe una legge universale esplicita sulla clausura delle monache.

Nonostante queste norme, non mancavano gli abusi. Per questo il Concilio di Trento (1545-1563) richiamò in vigore le prescrizioni di Bonifacio VIII, imponendo l’osservanza della clausura stretta e proibendo la coesistenza di monasteri aperti e monasteri chiusi. In tal senso legiferarono anche i pontefici successivi. In altri termini si voleva affermare che per essere religiose bisognava emettere i voti solenni e osservare la clausura. Intanto il Rinascimento, con i suoi fermenti umanistici, aveva contribuito alla promozione non solo dell’uomo, ma anche della donna, che nel campo spirituale cominciò ad avvertire l’esigenza di svolgere un impegno apostolico nel mondo. Infatti, stava riaffiorando il principio che la ricerca di Dio e la santità si potessero realizzare non solo nella solitudine del convento con la contemplazione, ma anche attraverso il servizio d’amore verso i fratelli, come era alle origini nella Chiesa. Non mancarono tentativi in tal senso. Ricordiamo sant’Angela Merici (1474-1540), che fondò nel 1535 in Italia le Orsoline. Dovevano essere una semplice confraternita secolare, senza vita comune, allo scopo di istruire le giovani nelle loro famiglie e non nelle scuole, privilegiando le più povere. Dopo varie vicende, sia in Italia sia in Francia, dovettero accettare i voti solenni e la clausura papale sotto le regole di sant’Agostino. Le Orsoline di Brescia resistettero a lungo, fino al 1827, prima di abbracciare la clausura; ma nel 1861 rinasceranno nella loro forma secolare. Ci fu anche il tentativo di Mary Ward, fondatrice delle Dame Inglesi, che non praticavano la preghiera corale, non portavano abito religioso, non osservavano la clausura, anzi uscivano per visitare le famiglie delle loro alunne e per svolgere attività pastorali; però, pretendevano di essere riconosciute come vero ordine religioso.

Molti furono i loro nemici che fecero giungere la voce fino alla Santa Sede; così dopo vari avvenimenti e vicende, l’istituto venne soppresso con la Bolla del 31 maggio 1631. Anche Pierre Fourier, denominato l’uomo della riforma religiosa in Lorena, insieme ad Alix Le Clerc fondò una nuova congregazione: Congrégation de Notre-Dame, con lo scopo di istruire le bambine nella dottrina cristiana, insegnare a cucire e a svolgere lavori domestici. Dopo varie difficoltà ebbero l’approvazione, ma si trattava di religiose chiuse con clausura. Nel ’600, era inconcepibile pensare una religiosa fuori dalle mura del convento e ancor più incontrarla nelle vie della città: era uno scandalo. La legge della clausura era intangibile. Il principio, contemplato nel Diritto Canonico del tempo, era così formulato: aut murus, aut maritus, cioè alla donna conveniva o sposarsi o chiudersi in convento, perché non si riusciva a concepire che una donna potesse mantenersi onesta senza essere protetta o dalle mura di un monastero o da un marito. Lo stesso san Francesco de Sales, (1567-1622) che volle fondare un ordine per la visita ai malati e aveva dato alle suore il nome emblematico di Visitandine, fu costretto a trasformare le sue visitatrici dei poveri in monache di clausura. Alcuni anni più tardi, Vincenzo de’ Paoli riuscirà a realizzare, come scriverà Igino Giordani, “un laicato religioso, una vita di perfezione nel laicato, portando fuori dai chiostri e dai conventi, la purità, la povertà e l’obbedienza nel traffico della vita ordinaria. Per tal modo, queste religiose di nuovo tipo tiravano fuori dai chiostri la santità e la mettevano a circolare per le strade, la introducevano nelle famiglie, la incarnavano nella vita laicale”. Infatti, le Figlie di san Vincenzo, vergini consacrate, non claustrali, andranno là dove urge il bisogno dei poveri: nei quartieri popolari, nelle campagne deserte, come sui campi di battaglia, ovunque ci fosse una miseria umana.