Andare alle origini di ogni fondazione, antica o moderna, è emozionante e stupendo insieme, in quanto si scopre che l’umano sembra confondersi con il divino e quasi annientarsi per lasciare emergere Dio: unico autore di tutte le cose. Questa è la logica di Dio e il modo di agire dei santi. Tale è il senso del Magnificat, che si può cogliere nelle vibranti parole di san Vincenzo, mentre spiega alle prime giovani, riunite in comunità, le loro regole e il metodo di vita:
Chi avrebbe pensato che sarebbero sorte le Figlie della Carità quando le prime andarono in alcune parrocchie di Parigi? Io non ci pensavo. La vostra suor servente non ci pensava. E nemmeno padre Portail. Dio solo pensava a voi. È lui, lo possiamo proprio dire, il fondatore della vostra Compagnia: lo è assai più sicuramente di qualsiasi altra persona.
Egli sapeva bene che la Compagnia delle Figlie della Carità aveva dell’inaudito, dell’impensabile e che segnava una rivoluzione nella vita consacrata femminile.
Voi, sorelle, non siete religiose di nome, ma dovete esserlo di fatto, e siete obbligate a tendere alla vostra perfezione più delle religiose. E se tra voi ci fosse qualche spirito turbolento, idolatra, che dicesse: “Sarebbe molto meglio che fossimo religiose”, ah, sorelle, la Compagnia sarebbe all’estrema unzione. Temetelo, sorelle, e finché in vita, contrastatelo. Gemete, piangete, parlatene al superiore. Chi dice religiosa, dice claustrale. Ma le Figlie della Carità devono poter andare dappertutto.
Come comprendere il senso di tale innovazione? Si potrebbero riportare qui diverse citazioni di San Vincenzo, ma la più significativa è quella attualmente definita la Magna Charta delle Figlie della Carità, sgorgata dal suo cuore, il 24 agosto 1659, quasi al termine della sua vita.
Non si considereranno religiose, perché tale stato non si addice alle attività proprie della loro vocazione. Tuttavia, essendo maggiormente esposte alle occasioni di peccato rispetto alle monache di clausura, avranno per monastero le case dei malati e quella dove risiede la superiora, per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza. Dovendo andare dai malati o in altri luoghi necessari per il loro servizio, avranno per grata il timore di Dio, per velo la santa modestia e non faranno altra professione, a fondamento della loro vocazione, se non quella di una continua fiducia nella divina Provvidenza e dell’offerta a Dio di tutto quello che sono e che fanno per il servizio dei poveri. Per tutte queste considerazioni, devono avere tanta maggiore virtù che se fossero religiose professe in un ordine religioso. Perciò cercheranno di comportarsi dappertutto almeno con lo stesso riserbo, raccoglimento ed edificazione delle monache nei loro conventi.
In queste parole di una eccezionale portata profetica e carismatica, san Vincenzo traccia l’identikit delle Figlie della Carità, il nuovo tipo di vita consacrata: vita contemplativa e attiva, religiosa e secolare al servizio dei poveri. Si può dire rivoluzionaria in pieno XVII secolo, sorta al di fuori della mentalità e dei quadri giuridici vigenti: le Figlie della Carità non saranno protette da una grata, ma libere di andare in ogni luogo di sofferenza.